Una formalità. Le elezioni presidenziali in Ecuador si sono consumate seguendo un copione già scritto, dove il presidente in carica, Rafael Correa, ha ottenuto una vittoria schiacciante: 57% dei voti, secondo dati ufficiosi, con trentasette punti percentuale di vantaggio sul primo rivale, il banchiere legato all’Opus Dei, Guillermo Lasso. Un abisso.
Quella di Correa è una vittoria che viene da lontano, da due amministrazioni coerenti e combattive impegnate ad ottenere il riscatto morale di una nazione sottomessa per troppo tempo agli interessi corporativi e di casta. Una vittoria fatta di piccoli passi, in patria e fuori, spesso oggetto di critiche ma mai fuori dal personaggio. La questione dell’asilo concesso nell’ambasciata ecuadoriana di Londra a Julian Assange è stata un colpo mediatico senza precedenti, per un paese che anteriormente pochi sarebbero stati capaci ad inviduare nella mappa del Sudamerica.
Correa domenica sera è apparso sul balcone del palazzo di Carondelet per ricordare, circondato da familiari, amici e alleati politici, come Esta revolución no la para nada ni nadie, che questa rivoluzione non la ferma niente e nessuno. Ha dedicato la vittoria a Chávez in convalescenza a Cuba, e poi ha ribadito che i prossimi quattro anni serviranno per stabilire un cambiamento irreversibile nella società ecuadoriana.
Parla bene Correa e si presenta bene, esagerando a volte i toni, infiammandosi quando si rivolge contro i potenti che negli anni passati si sono spartiti beni e tesori dell’Ecuador. I prossimi a cadere, dice, saranno i manipolatori delle coscienze, i padroni dei mezzi di comunicazione che gli hanno messo e continuano a mettergli i bastoni tra le ruote. I risultati di queste elezioni lo legittimano ancora di più di quel 51% rosicato quattro anni fa contro Lucio Gutiérrez (che questa volta, dopo il mancato ballottaggio del 2009, si è fermato ad un misero 6%). L’agenda parla ora di una rivalutazione della dipendenza dal petrolio, con massicci investimenti nell’industria estrattiva e dell’energia idroelettrica. L’Ecuador è paese dalle grandi risorse, ma per giungere all’equità sociale Correa si dice pronto a passare per la scure degli investimenti privati dei grandi capitali provenienti dall’estero. Le licitazioni per l’estrazione di oro, argento e rame sono pronte, il rischio è quello che con tanta carne al fuoco Correa segua i passi del suo vicino Humala piuttosto che del beneamato Chávez. Staremo a vedere.
Il nuovo mandato comincerà il prossimo 24 maggio; ad accompagnarlo, nella carica di vice presidente, ci sarà l’immancabile Jorge Glas, da tempo tra i suoi più stretti collaboratori.
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