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Giusto per darvi un assaggino, ecco il mio articolo su Beverly Hills, 90210 per la rubrica dedicata alle serie del passato, American Telefilm Story appunto. Ah, quanti ricordi.
AMERICAN TELEFILM STORY Beverly Hills, 90210
Correva l’anno 1990 e una serie tv si affacciava nella programmazione televisiva americana, per arrivare di lì a poco a sconvolgere le vite di tutti noi ormai quasi anziani cresciuti negli anni Novanta. Quando scrivo sconvolgere, intendo davvero sconvolgere. E magari anche rovinare. Beverly Hills, 90210 in qualche modo mi ha segnato per sempre, nel bene o nel male. È stata infatti la prima serie che ho seguito con passione maniacale. Ogni giovedì mattina, se non ricordo male era quello il giorno in cui veniva inizialmente trasmessa su Italia 1, mi svegliavo eccitato in attesa che arrivasse la sera per gustarmi un nuovo episodio. E a partire dal venerdì iniziava il countdown per la puntata successiva. Frequentavo ancora le scuole medie, in quel periodo pre-Internet che ora sembra davvero lontano, e sulla mia Smemo dell’epoca cominciavano a comparire i ritagli con le foto dei miei idoli e delle mie girls da sogno. Per lo più, naturalmente, riguardavano il mondo di Beverly Hills, 90210. La mia preferita era Kelly Taylor, ovvero Jennie Garth. La classica bionda, ricca, maniaca dello shopping e con il naso rifatto. In pratica, una sorta di Paris Hilton ante litteram. Intelligente? Nah, però che bona, che era. Il mio modello di riferimento maschile, più che il troppo figo per essere vero Dylan McKay, era invece Brandon Walsh alias l’attore Jason Priestley. Come lui, il mio sogno (parzialmente realizzato) era quello di scrivere, di fare il giornalista. E, come lui, anche io odiavo (e odio tutt’ora) ballare. Brandon non balla, a meno che non fosse Kelly Taylor a invitarlo. Lo stesso vale per me, con la piccola differenza che Kelly Taylor a me non ha mai chiesto di danzare con lei. L’anno scorso l’ho persino incontrato di persona, Jason Priestley, nel corso del Montecarlo Television Festival. Mi è capitato di intervistarlo e, anziché ringraziarlo perché il suo personaggio televisivo è stato molto importante per me, sono incappato in una gaffe e gli ho dato accidentalmente del “vecchio”. Sorry, Brandon.
Beverly Hills, 90210 ha insomma segnato nel profondo il mio immaginario e la mia intera esistenza, ma cosa aveva di tanto speciale? L’ambientazione californiana, dove tutti i giorni c’è il sole e, se si faceva chiodo a scuola, si poteva andare al mare a fare surf. Le belle ragazze. La vita dei ricchi. Ma soprattutto, oltre a regalarmi dei modelli esistenziali irraggiungibili, quello che rendeva la serie davvero fantastica era un’altra cosa: mi faceva sentire grande. Quando ho iniziato a guardarla, ero solo un bambinetto e fantasticavo su come sarebbe stata la mia vita da teenager. Poi non sarebbe stata assolutamente così, anche perché crescere in una cittadina come Casale Monferrato non è proprio come farlo nel quartiere più esclusivo di Los Angeles, eppure la cosa importante era un’altra, la dimensione del sogno. Beverly Hills, 90210 rappresentava alla perfezione l’American Dream. Un suo pregio era quello di mostrare anche qualche crepa al suo interno, introducendo tematiche ostiche soprattutto per una serie teen come droga, sesso, omosessualità e pure AIDS. Alla fine comunque restava pur sempre una celebrazione dei valori tradizionali dell’America e, pur con tutte le sue ingenuità anni Novanta e i suoi intrecci sentimentali quasi da soap-opera, è anche questo ciò che ho sempre amato (e odiato) di Beverly. Oltre al fatto che ha segnato la mia vita. O me l’ha rovinata?
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