Ed infine le carote non è vero che non parlano

Da Flavialtomonte

In bocca al lupo
Crepi! Crepi!
A tempo debito scoprii che “in bocca al lupo” è solo una schivante metafora nei confronti di chi sta allegoricamente entrando nella bocca del lupo. Crepi – usato anche nella sua forma rafforzativa potenziata – è invece un’aspettativa lungimirante dell’esaminante nello stato di prognosi riservata.
In questo caso io non ero né il lupo, né l’augurante, bensì il paziente.
Avevo appena poggiato i piedi giù dal letto, e le mani sul materasso per darmi la spinta giusta ad alzarmi, ma è sembrato tutto vano, svanito, e ammortizzato da un forte istinto di portarmi le mani davanti agli occhi. Avevo visto bene, tre dita della mano destra gonfie quanto una confezione di wurstel da friggere. Dalle gambe prendo tutta la forza avanzata per alzarmi e cercare di capire. Non potevo capire, se non il vecchio callo sul dito medio risalente alle scuole medie. Un callo che non ha mai smesso di esistere. Un callo che ha imparato ha reggere il peso della penna, e non solo lui. Ecco di cosa si trattava.
Pollice e indice erano in gran forma quel giorno, si avvicinavano e si allontanavano a comando. Il medio, l’anulare e il mignolo, invece, sono sempre stati affezionati l’un l’altro, insieme nella buona e nella cattiva sorte, condividendo ogni sforzo e risentimento.
Ebbene sì, anche le mani si lamentano!
Ho sempre avuto delle mani normali, sinuose, snelle, sfilate e sane. Sono stata sempre prudente nei loro confronti: da piccole le ho portate a scuola di danza muovendole a ritmo di musica, crescendo a teatro ponendole di fronte a qualsiasi situazione, emozione o imbarazzo. E adesso, cosa vogliono? Cosa pretendono?
Da quel tuonante “In bocca al lupo” sono passate precisamente: due ore, un paio di camici puntualmente bianchi, un sfilza di letti ambulanti e sgarbate impazienze adulte e traballanti.
In quanto ai camici mi sono sempre chiesta se li servissero anche di colori più vivaci, come il giallo, il verde, l’arancione e il blu, giusto per alleviare la tensione e seguire la moda; e quei fiori finti ai piedi della statua di una Madonna in gesso?
Non ero lì per me, ma è stato come se fosse stato così. L’aria pesante di un’attesa incosciente e scomposta di profondi respiri mozzati da un via vai di camici bianchi; la compostezza delle anziane signore, al contrario dei meno avanzati che sembrano aver sempre qualcosa da perdere, manifestando la loro impazienza in svariate liti incomplete tra sconosciuti, come rebus senza lettere e con poche immagini. Cosa vogliano dalla vita, non sanno mai dirtelo – dicono di non avere l’età per dirlo – in realtà lo sanno meglio di te, e vorrebbero evitare l’illusione che non basti loro più il tempo. Loro! E gli anziani che devono dire?
Fuori da lì, ci siamo diretti al Supermercato perché finisce sempre così quando gli appuntamenti si terminando col tempo di recupero - ”Passiamo un attimo dal Supermercato per comprare alcune cose che mancano” – si dice sempre così per uscirne con un carrello stracolmo di tutt’altre cose pur sempre utili.
E poi “ah prendiamo questo e questo!” prezzo, scadenza e via dentro il carrello, “Uh le carote” e dentro anche queste.
Per mia zia le carote non parlano. E in realtà non è che parlino molto. Ma quello che voleva dire mia zia, era un discorso molto più metaforico che mi richiama in mente molte cose.
Oh, ma allora le carote parlano davvero!


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