È uno dei misteri storici più appassionanti di tutti i tempi. Ma, nel contempo, anche uno di quelli su cui si è lucrato meno. E scritto poco, malgrado tutto. È un mito buono che è resistito alla corsa alla fiction. La nave ospedale Po, affondata al largo delle coste albanesi nel marzo del 1941, torna però sistematicamente a rivivere con le molte esplorazioni archeologiche che si intervallano a lunghi oblii. La fama, la Po, la deve al fatto che, nel giorno dell’affondamento, causa siluramento da parte di una motovedetta inglese, a bordo, oltre al personale medico, vi era Edda Mussolini, primogenita del Duce. Lontana dagli stereotipi, lontana dalle agiografie, lontana dall’aura leggendaria e crociatesca attribuitole di recente dalla narrativa romanzesca, Edda sopravvisse unicamente per l’azione di una fortuna sfacciata. Sola crocerossina a mettersi in salvo, nuotando sino a riva. Persero la vita, quel giorno, 23 persone. Fra di loro, le altre tre volontarie della Croce Rossa. I meriti della Po furono, tuttavia, essenzialmente di carattere medico. Quattordici missioni, 6600 feriti e malati accolti a bordo. Diverse traversate battendo bandiera italiana. Interventi umanitari mentre il mondo si divideva nella guerra più devastante che la storia ricordi. Bella, la nave ospedale Po. Ed enorme. Ricca. Le sue vestigia, rinvenute ad un miglio dalla costa albanese del porto di Valona già nel corso di una spedizione del 2005, sono stupefacenti per integrità. Giù, a 36 metri di profondità, avvolte nella flora marina, le suppellettili sono adagiate sul fondo del mare e gli ambienti sono rimasti quasi intatti. Le imprese della Po sono state, in questi giorni, riportate alla luce da un prezioso articolo apparso sulla rivista di settore “Archeologia Viva”. Il pezzo riporta i risultati delle indagini condotte sull’ex piroscafo Wien (questo il nome con cui, nel 1911, fu varato quando ancora faceva parte della flotta austro – ungarica) dalla società Asso (Archeologia Subacquea Speleologia Organizzazione), ed inserite nell’ambito delle attività del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi di Foggia. Un notevole risultato, questo, dell’Ateneo dauno. Che, così facendo, consolida il ruolo di leadership all’interno del mondo accademico italiano per interesse archeologico. Grazie ad un’equipe ben organizzata e all’utilizzo di strumentazioni all’avanguardia, la squadra di ricercatori ed archeologi foggiani è riuscita ad accedere all’interno del relitto, spingendosi sino ai ponti inferiori, alla sala macchine ed alla sala operatoria. Il lavoro, come si deduce dalle fotografie pubblicate dalla rivista, è stato qualitativamente impeccabile. La chiarezza del materiale illustrato, infatti, supera di netto la difficoltà logistica della missione. Il punto di abissamento della Po, in effetti, è uno dei più ostici dell’intero Adriatico a causa del fango trascinato sul fondale dai fiumi in frequente piena che sfociano nella baia.
EDDA MUSSOLINI CIANO – Ma la l’interesse va laddove la curiosità batte insistentemente sulle pareti del cervello per stimolarne le sinapsi. E la presenza della figlia del Duce a bordo non può che ringalluzzire la sagacia delle ipotesi e delle storie sul salvataggio di Edda. I motivi del siluramento della nave ospedale Po da parte degli inglesi, rimangono, se non avvolti nel mistero, per lo meno, incerti. Ufficialmente, la nave ospedale, ottenebrata dal buio (erano all’incirca le 23.30) non venne riconosciuta dagli inglesi in quanto il comandante spense le luci per evitare il riconoscimento di altre navi italiane alla fonda nella baia di Valona. Tuttavia, nel tempo, questa teoria è stata ripetutamente sollecitata dalla ricerca storica. Tanto che, anche se più che altro a scopo dimostrativo, il reportage di “Archeologia Viva” riporta in auge un’ipotesi antica. Più verosimile che vera. Più sotterranea, noir, intrigante. Ovvero che, leggendo sulla lista di navigazione il cognome “Mussolini”, gli inglesi credessero di avere a che fare non con la trentenne moglie del Ministro Galeazzo Ciano, bensì con Benito, capo assoluto ed incontrastato del fascismo italiano. Insomma, un atto di eroismo mal interpretato.
LA STORIA – Lunga e travagliata fu la storia della Po. Tanto da racchiudere tutti i vari passaggi della ancora giovane Italia. Venne costruita nel 1911, come piroscafo misto Wien. Stazza: 7289 tonnellate. Era di proprietà del Lloyd Austriaco. Il primo novembre 1918, durante l’impresa di Pola, fu coinvolta nello scoppio della corazzata austro – ungarica Viribus Unitis. La denotazione fu fatale al Wien. Lo scoppio gli arrecò danni gravi, fino a causarne l’affondamento. Recuperato e riparato nel giro di un solo anno, con la trasformazione del Lloyd austriaco in Lloyd triestino, batté bandiera italiana e prese il nome del maggiore dei fiumi italiani: Po. È il 1919. È passato appena un anno dalla tragica esperienza giuliana. Nel 1940, fu requisito dalla Marina del Re e, nel luglio, prese la destinazione d’uso che lo rese celebre: divenne, vale a dire, nave ospedale. In un anno svolse ben 14 missioni, prestando soccorso ad un numero enorme di malati e feriti: oltre 6600 persone. Fino al nuovo affondamento, datato 14 marzo 1941. E, con esso, la fine.
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