Eden
di Mia Hansen Love
con Félix de Givry, Pauline Etienne, Vincent Macaigne, Hugo Conzelmann
Francia, 2014
genere, drammatico
durata, 131'
Che quella elettronica sia una musica che si addice ai gusti
dei francesi è cosa nota almeno a partire dagli anni settanta, per la presenza
di un’artista come Marc Cerrone, vero e proprio precursore del movimento
attraverso una serie di dischi che
furono in grado di rivaleggiare con i mastodonti della disco music americana. Una tendenza, che negli anni a venire è
riuscita a resistere alle mode del momento, arrivando a conquistarsila propria fetta di mercato grazie al
successo internazionale del progetto artistico che fa capo ai Daft
Punk, esponenti di punta della cosiddetta France
House. Come carta assorbente il cinema
prende atto dello scarto e solo in questa stagione ci presenta due film che in
modi diversi testimoniano quanto abbiamo appena detto. Del primo,“The Fighters - addestramento di
vita”diretto da Thomas Cailley
abbiamo parlato solo qualche mese fa e in questa sede basterà ricordare quale
sia sia stato il peso delle sonorità elettroniche nell’economia generale della
messinscena; del secondo invece che è anche l’oggetto della nostra recensione
ci apprestiamo a farlo non prima di aver ricordato che “Eden” diretto dalla
regista Mia Hansen Love arriva nella sale a quasi quattro anni di distanza da
quell’ “Amore di gioventù” che aveva colpito perla lucidità con cui raccontava l’educazione sentimentale
della sua giovane protagonista. E proprio dal ricordo di quel film che sembra
partire la Hansen Love, raccontando in qualche modo un’altra storia di
formazione in cui però, a fornire gli strumenti dell’apprendistato è,manco a farlo apposta lo scenario
musicale, che a partire dai novanta vede crescere e imporsi il fenomeno
musicale legato appunto ai Daft Punk,
veri e propri numi tutelari di Paul, adolescente il cui percorso di crescità
esistenziale segue di parì passo quello artistico, rappresentato appunto dal tentativo di diventare un dj di fama internazionale attraverso la creazione di una proprio etichetta musicale.
Alle
prese con una sceneggiatura che ancora una volta ha a che fare con
esperienze di vita vissuta - questa volta per interposta persona,
attraverso le vicissitudini capitate al fratello Sven che qui collabora
in fase di scrittura - la Hansen Love non si limita a illustrare la
biografia del personaggio, con gli alti e bassi che ne
accompagnano i suoi sogni e le sue delusioni ma ne da un interpretazione
in
chiave drammaturgica, che si mantiene in equilibrio - attraverso la presenza dell'elemento musicale rappresentato dalla colonna sonora prodotta dal protagonista - tra il
referto sociologico (con la descrizione dell'underground musicale
e del panorama culturale entro cui si muove Paul) e il diario privato,
in cui trovano spazio le relazioni sentimentali del ragazzo così come gli scompensi emotivi che derivano dalle
asperità della posta in palio.
L'effetto più evidente è quello di una
passione se non raffreddata, almeno tenuta a freno dalla mancanza di quel
sensazionalismo alla belli e dannati che di solito contraddistingue i ritratti degli artisti o presunti tali. In questo modo, il leit motiv costituito dallo slogan "sesso, droga e rock and roll",
seppur presente nella dipendenza chimica di Paul e nelle manie
depressive del suo amico e collega, viene spogliato da qualsiasi tipo di
compiacimento estetico e vojeristico. Così facendo, l'eccezionalità
raccontata da "Eden"
e la giovinezza che così bene gli corrisponde, diventano significative
di
una crescita esistenziale che potrebbe essere uguale a quella di
chiunque altro. Senza
bisogno di quella leggittimazioni ideologiche e politiche di cui la
Hansen Love riesce a fare a meno e che, almeno in patria, non le
consento di essere menzionata con la reputazione che invece meriterebbe.