Decreto legislativo n. 192/2012, recante modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
In relazione a quanto segnalato a questi Ministeri dagli operatori di settore con riguardo all’ambito di applicazione del provvedimento in oggetto, si osserva quanto segue.
Si segnala, in primis, che la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Settore legislativo del Ministro per gli affari europei, con nota del 20 dicembre 2012, prot. n. 2667, ha rilevato che l’ambito di applicazione del decreto legislativo di recepimento della direttiva citata in oggetto concerne tutti i settori produttivi.La Presidenza ha, pertanto, precisato che, sebbene il provvedimento in parola non lo menzioni espressamente, esso deve ritenersi applicabile anche al settore edile. Ciò è stato argomentato sia sotto il profilo formale, rimarcando che l’espressione «prestazione di servizi» abbraccia inevitabilmente anche i lavori, sia a livello sistematico, rilevando che la disciplina generale, di matrice sovranazionale, in tema di ritardati pagamenti, non può che prevalere su regolamentazioni nazionali con essa eventualmente confliggenti.
La disciplina oggi vigente posta dal d.lgs. n. 192 del 2012 si fonda sulla direttiva 2011/7/UE, la quale contiene, all’articolo 1, una nuova ed inedita indicazione di scopo rispetto alla direttiva 2000/35/UE di cui il d.lgs. n. 231 del 2002 costituiva attuazione. Lo scopo esplicitamente individuato è quello «di lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, favorendo in tal modo la competitività delle imprese e in particolare delle PMI».
Tale nuova indicazione di scopo segna al contempo un vincolo per l’interpretazione degli atti normativi europei e italiani oggi vigenti.
Secondo la direttiva n. 7 del 2011 (cfr. art. 2, co. 1 °, n. 1 ) sono da intendersi come transazioni commerciali le «transazioni tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano la fornitura di merci o la prestazione di servizi dietro pagamento di un corrispettivo», senza dunque menzione dei lavori pubblici.
Sennonché, quale raccomandazione cogente, nella stessa direttiva n. 7 del 2011 (Considerando n. 11) si è avuto cura di precisare che «la fornitura di merci e la prestazione di servizi dietro corrispettivo a cui si applica la presente direttiva dovrebbero anche includere la progettazione e l’esecuzione di opere e edifici pubblici, nonché i lavori di ingegneria civile», con uso del verbo “dovere” - sia pur al condizionale - che risale ai testi originali della direttiva in inglese e francese («should also include»; «il convient d’inclure également»).
Gli atti giuridici dell’Unione europea «sono motivati» (art. 296, co. 2°, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), solitamente nel preambolo, il quale costituisce un elemento rilevante d’interpretazione delle disposizioni poste con gli atti stessi, nonché delle conseguenti disposizioni con cui, come nel caso delle direttive, gli Stati membri attuano tali atti nei rispettivi ordinamenti.
Appare pertanto privo di dubbio che l’indicato Considerando n. 11 della direttiva europea 2011/7/UE segni per gli Stati membri lo scopo perseguito dalla direttiva stessa di assoggettare anche i lavori pubblici a un’uniforme regolamentazione per i pagamenti derivanti dai relativi contratti.
La necessità di un’uniforme regolamentazione, applicabile anche in caso di contratti di lavori pubblici, s’afferma inoltre anche perché nella stessa direttiva si stabilisce che è da intendersi come pubblica amministrazione «qualsiasi amministrazione aggiudicatrice quale definita all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/17/CE e all’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18/CE, indipendentemente dall’oggetto o dal valore dell’appalto» (art. 2, co. 1°, n. 2, direttiva n. 7 del 2011), con la conseguenza che, ove una di tali amministrazioni si rivolga al mercato per acquisire dietro corrispettivo un’utilità necessaria alla propria organizzazione o alla propria attività (sia essa un bene, un servizio, un lavoro), vale comunque la disciplina sui pagamenti posta dalla direttiva stessa.
Tale regolamentazione, che si vuole uniforme per l’intero territorio dell’Unione europea e per tutti i casi di ricorso al mercato da parte delle pubbliche amministrazioni di tutti gli Stati membri, risponde, in definitiva, alla finalità già evidenziata «di garantire il corretto funzionamento del mercato interno» (art. 1, co. 1°, direttiva n. 7 del 2011), perché i ritardi nei pagamenti rappresentano un fattore distorsivo della concorrenza influendo negativamente sulla «liquidità», «gestione finanziaria», «competitività» e «reddittività» delle imprese che trattano con le pubbliche amministrazioni, a maggior ragione «nei periodi di recessione economica, quando l’accesso al finanziamento diventa più difficile» (Considerando n. 3, direttiva n. 7 del 2011).
Ulteriore distorsione della concorrenza si determinerebbe nel caso in cui le imprese fossero soggette a «norme sostanzialmente diverse» per le operazioni interne e per le operazioni transfrontaliere, sicché le imprese stesse «dovrebbero poter svolgere le proprie attività commerciali in tutto il mercato interno in condizioni che garantiscano che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi maggiori di quelle interne» (Considerando n. 5, direttiva n. 7 del 2011).
Si osserva che «l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato da questa previsto, così come il loro dovere, in forza dell’art. 10 del Trattato CE, ora art. 4, par. 3°, TUE, di adottare tutte le misure generali o particolari idonee a garantire l’adempimento di questo obbligo, s’impongono a tutte le Autorità degli stati membri, comprese, nel quadro delle loro competenze, le autorità giurisdizionali», sicché, ove si tratti d’interpretare una norma interna (sia essa anteriore o successiva-conseguente a una direttiva), è necessario interpretare tale norma interna, «per quanto più possibile, alla luce della lettera e degli scopi della direttiva stessa, al fine di raggiungere il risultato da questa previsto e conformarsi così all’art. 249, comma 3°, del Trattato CE, ora art. 288, TFUE» (Corte Giust. Ce, 13 novembre 1990, in causa C-106/89, Marleasing, cui adde Corte Giust. Ce, 5 ottobre 2004, in cause riunite C-397/01 e 403/01, Pfeiffer).
In ragione dell’indicata giurisprudenza della Corte di Giustizia occorre dunque riconoscere che lo stesso scopo orienta anche l’interpretazione della relativa disciplina italiana d’attuazione oggi vigente.
Occorre considerare altresì la nuova definizione di «pubbliche amministrazioni», le quali sono tutte le «amministrazioni di cui all’articolo 3, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e ogni altro soggetto, allorquando svolga attività per la quale è tenuto al rispetto della disciplina di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163» (nuovo art. 2, co. 1°, lett. b, d.lgs. n. 231 del 2002). Si tratta di definizione che non solo individua gli enti soggetti alla nuova disciplina sui pagamenti, ma contribuisce a definire anche le tipologie di contratti pubblici per i quali s’applica tale nuova disciplina, considerato che l’affidamento dei contratti aventi ad oggetto l’esecuzione dei lavori pubblici rientra nell’ambito di applicazione del predetto d.lgs. n. 163 del 2006, recante il codice dei contratti pubblici.
Si osserva, infine, de jure condendo che la nuova proposta di direttiva in tema di appalti pubblici, che sostituirà la vigente direttiva 2004/18/CE, all’articolo 2, punto 9, definisce gli «appalti pubblici di servizi» come appalti pubblici aventi per oggetto la prestazione di servizi diversi da quelli relativi alla progettazione e all’esecuzione dei lavori, da cui si desume che i lavori sono comunque, in via generale, compresi nell’accezione dei servizi.
In conclusione, si ritiene che la nuova disciplina dei ritardati pagamenti introdotta in attuazione della normativa comunitaria 7/201 I/UE si applica ai contratti pubblici relativi a tutti i settori produttivi, inclusi i lavori, stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2013, ai sensi dell’art. 3, co. 1, del d.lgs. n. 192 del 2012.
Ciò posto, le disposizioni dettate dal codice dei contratti pubblici e dal regolamento di attuazione già vigenti per il settore dei lavori pubblici, relative ai termini di pagamento delle rate di acconto e di saldo nonché alla misura degli interessi da corrispondere in caso di ritardato pagamento, devono essere interpretate e chiarite alla luce delle disposizioni del decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, ritenendosi prevalenti queste ultime sulle disposizioni di settore confliggenti, tenendo conto anche dell’espressa clausola di salvezza, secondo cui restano «salve le vigenti disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore» (art. 11, co. 2, d.lgs. n. 231 del 2002).
Pertanto si forniscono, in via interpretativa, i seguenti chiarimenti.
Con riferimento ai termini di pagamento delle prestazioni contrattuali, si richiama la disciplina di settore dettata dal d.P.R. n. 207 del 2010 (di seguito denominato regolamento) in tema di esecuzione e contabilità dei contratti pubblici di lavori, che prevede la corresponsione all’esecutore di pagamenti in acconto nel corso dell’esecuzione dei lavori, sulla base di Stati Avanzamento Lavori (SAL) emessi dal direttore dei lavori al raggiungimento dell’ammontare dei lavori eseguiti fissato dal contratto e la corresponsione della rata di saldo a seguito del collaudo.
I pagamenti sono comunque soggetti a verifiche della corrispondente prestazione eseguita; in particolare:per le rate di acconto, il responsabile del procedimento, entro 45 giorni dalla maturazione di ciascun SAL, emette il certificato di pagamento con il quale è liquidato il credito, da corrispondere all’esecutore entro i successivi trenta giorni;
per la rata di saldo, è prevista la verifica della conformità della prestazione complessiva attraverso il certificato di collaudo provvisorio o di regolare esecuzione, sulla base del quale entro 90 giorni è effettuato, dietro presentazione di garanzia fideiussoria, il pagamento del saldo, fermo restando che il termine decorre dalla data di presentazione della garanzia fideiussoria se non presentata preventivamente.
Risulta pertanto che talune delle previsioni sopra descritte non sono compatibili con i termini massimi di pagamento previsti all’articolo 4 del
d.lgs. n. 231/2002, come modificato dal d.lgs. n. 192/2012.
Infatti, il comma 2 stabilisce che il pagamento è corrisposto entro il termine di trenta giorni decorrente, secondo le circostanze, dalla data di ricevimento della fattura ovvero dalla data della prestazione ovvero dalla data dell’accettazione o della verifica della prestazione, nel caso in cui siano previste dalla legge o dal contratto.
Il successivo comma 4, relativamente alle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, prevede, inoltre, che le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a trenta giorni, e comunque non superiore a sessanta giorni, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione.
Il comma 6 dello stesso articolo stabilisce infine che, quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità dei servizi al contratto, essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della prestazione, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore.
Dalla disciplina sopra richiamata deriva che: il termine di trenta giorni di cui all’art. 143, co. 1, secondo periodo, del regolamento per il pagamento delle rate di acconto dall’emissione del certificato di pagamento, risulta ancora applicabile in quanto coincidente con quello fissato dall’art. 4, co. 2 del d.lgs. n. 231/2002;
il termine di quarantacinque giorni previsto dall’art. 143, co. 1, primo periodo, del regolamento per l’emissione del certificato di pagamento dalla maturazione del SAL, risulta non compatibile con la previsione del comma 6 dell’articolo 4 del d.lgs. n. 231/2002, che fìssa in trenta giorni il termine per la verifica preordinata al pagamento; detto termine deve pertanto essere inteso come ridotto a trenta giorni, ove non sia previsto nella documentazione di gara - e pattuito espressamente nel contratto - un termine maggiore, ma comunque, in virtù del già richiamato art. 11, co. 2, d.lgs. n. 231 del 2002 che fa «salve le vigenti disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore» non superiore ai quarantacinque giorni;
il termine di novanta giorni previsto dall’art. 141, co. 9, del codice e dall’art. 143, co. 2, del regolamento, per il pagamento della rata di saldo a decorrere dal collaudo, risulta non compatibile con la previsione del comma 2 dell’articolo 4 del d.lgs. n. 231/2002, che prevede il termine di trenta giorni dalla verifica della prestazione, ovvero un termine superiore, pattuito dalle parti in modo espresso, comunque non superiore a sessanta giorni, quando ciò sia giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione; detto termine deve pertanto essere inteso come ridotto a trenta giorni, ove non sia pattuito espressamente nel contratto un termine maggiore, comunque non superiore a sessanta giorni, al ricorrere delle condizioni sopra indicate previste dall’art. 4, co. 4, del d.lgs. n. 231/2002;
il termine di sei mesi, elevabile fino ad un anno, di cui all’art. 141, co. 1, del codice dei contratti pubblici previsto per l’emissione del certificato di collaudo, nonché il termine di tre mesi di cui all’art. 141, co. 3, del medesimo codice, previsto per l’emissione del certificato di regolare esecuzione, risultano ancora applicabili, laddove siano espressamente concordati dalle parti e previsti nella documentazione di gara ai sensi dell’art. 4, co. 6 del d.lgs. n. 231/2002.
Con riferimento agli interessi da corrispondere in caso di ritardato pagamento, il d.lgs. n. 231 del 2002, come modificato dal d.lgs. n. 192 del 2012, prevede la corresponsione di interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali, in vigore all’inizio del semestre, maggiorato dell’8%, senza che sia necessaria la costituzione in mora. Il Ministero dell’economia e delle finanze, nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare, pubblica nella Gazzetta Ufficiale il tasso di interesse applicato dalla BCE.
Dette disposizioni devono far intendere non più applicabili quelle disposizioni in materia di interessi per ritardato pagamento del corrispettivo dei contratti di lavori pubblici che fissano diverse modalità di determinazione della misura degli interessi moratori.
In particolare, sono da ritenersi non più applicabili i commi 2 e 3 dell’art. 144 del regolamento che prevedono per il ritardato pagamento, rispettivamente, degli acconti e del saldo, la corresponsione degli interessi nella misura del tasso legale per i primi sessanta giorni e degli interessi moratori al saggio stabilito annualmente con decreto interministeriale previsto dal successivo comma 4, a decorrere dal giorno successivo fino alla data del pagamento. Per le stesse motivazioni è da ritenersi non più applicabile l’art. 142, commi 1 e 2, del regolamento.
Invece, riguardo all’ipotesi relativa al ritardo nell’emissione del certificato di pagamento per causa imputabile alla stazione appaltante, deve ritenersi ancora applicabile il comma 1 dell’art. 144 del regolamento che prevede la decorrenza degli interessi corrispettivi al tasso legale per sessanta giorni e, in caso di ritardo ulteriore, la decorrenza degli interessi moratori nella misura stabilita dal sopra richiamato decreto interministeriale.
Infatti il D.Lgs. n. 231/2002, come modificato dal D.Lgs. n. 192/2012, nel fissare un termine di trenta giorni per la fase di verifica della prestazione (che, come detto, si conclude con l’emissione del certificato di pagamento), non prevede alcuna conseguenza nel caso che il termine non venga rispettato. Per tale ipotesi dunque, rimane salva la disciplina speciale contenuta all’art. 133, co. 1, del codice e all’art. 144, co. 1, del regolamento, che non presenta profili di contrasto con le disposizioni della direttiva.
È infatti da ritenersi che, per effetto dalla nuova normativa, il 1° comma dell’art. 133 del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) rimane applicabile, con le modalità ivi indicate, relativamente agli interessi conseguenti al ritardo nell’emissione del certificato di pagamento e non anche dei titoli di spesa relativi agli acconti e alla rata di saldo, atteso che per questi ultimi, come sopra specificato, si applicano le nuove regole in tema di interessi moratori.
Infine, poiché il decreto legislativo n. 231/2002 specifica che gli interessi moratori decorrono senza che sia necessaria la costituzione in mora dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, rimane fermo il principio stabilito dall’art. 142, co. 4, del regolamento che esclude la necessità di apposite domande o riserve e precisa che l’importo degli interessi per ritardato pagamento viene computato e corrisposto in occasione del pagamento immediatamente successivo a quello eseguito in ritardo. Ritardi pagamenti settore edile