L’edificio deve essere bello, durevole e conforme alle richieste.
E’ quanto emerge dalla seconda parte dell’indagine su “La qualità edilizia in Italia. Definizioni, percezione, criticità e vantaggi”, promossa da Federcostruzioni e avviata dal Cresme, che ha riguardato 260 progettisti, in collaborazione con il Consiglio Nazionale degli Architetti.
E’ l’estetica, la bellezza a definire soprattutto la qualità. La indica il 23,5% degli intervistati.
Ma oltre che bello l’edificio, l’opera, deve avere altre due caratteristiche fondamentali: deve essere durevole (19,3%) e deve essere conforme alle richieste, ai requisiti, alle aspettative (18,5% delle risposte).
Estetica quindi, ma anche funzionalità. Un aspetto quest’ultimo che attiene al rapporto tra progettazione, committenza e fruitori finali. Fin dalle prime risposte l’indagine evidenzia come nel progettare gli architetti italiani siano influenzati sia da elementi culturali, potremmo dire di formazione, sia da aspetti legati ai modi di costruire e all’evoluzione del mercato.
La centralità “estetica” nel lavoro progettuale viene confermata anche dal preferire (71%) una casa piccola ma più bella ad una più grande e più economica.
Un’estetica che si lega da un lato alla funzionalità, ovvero alla capacità di creare ambienti rispondenti alla domanda di vivibilità e alla loro fruizione, dall’altro alla scelta dei materiali e dei componenti edilizi, presi in considerazione soprattutto per le loro prestazioni tecniche e per la loro resa.
Forte è la consapevolezza dell’importanza che oggi rivestono la professionalità, la formazione, l’acquisizione di una cultura tecnica, tutti elementi che contribuiscono a garantire e a dare qualità al progetto e al “mestiere” dell’architetto.
Circa un quarto degli intervistati (24%), infatti, pone al vertice della qualità progettuale l’accuratezza, la precisione, l’attenzione e la comprensibilità degli elaborati progettuali.
L’indagine poi sposta l’attenzione su come i valori della qualità così definiti riescano ad imporsi o meno sul mercato, ovvero quali siano i maggiori ostacoli ad una progettualità attenta alla qualità.
La maggioranza relativa degli intervistati (26%) individua nella scarsa sensibilità delle committenze il deterrente principale, che si accompagna spesso (17,4%) ad una “inadeguatezza legislativa e delle politiche pubbliche”.
Vi è poi una diffusa consapevolezza di come sul risultato finale incida l’attuale scarsità di risorse finanziarie.
Interessante è un 12% di risposte che evidenziano anche l’esistenza di un’inadeguatezza professionale da parte delle maestranze, fattore che segnala l’esistenza di una criticità che si fa sempre più pressante tra qualità progettuale e qualità costruttiva.
La qualità al tempo della crisi
E’ opinione prevalente che la crisi non abbia inciso più che tanto sui comportamenti e le scelte delle committenze, siano esse imprese o famiglie.
Secondo il 40% degli intervistati, l’attenzione alla qualità da parte di imprese e famiglie non avrebbe, infatti, subito variazioni. Il restante 60% si divide in parti quasi uguali tra chi pensa che l’attenzione alla qualità sia cresciuta e chi pensa che sia diminuita, con una leggera prevalenza di questi ultimi quando la domanda riguarda le imprese. Del resto la crisi è un fenomeno multidimensionale il cui impatto non è univoco.
Da un lato, si richiede maggiore qualità (per via di una maggiore attenzione a ciò che si riceve in cambio delle risorse finanziarie spese), dall’altro si può essere costretti a rinunciarvi per via dei vincoli di bilancio.
Ed è la carenza di risorse finanziarie a guidare la scelta dei prodotti. Il 66% delle risposte infatti ritengono che la crisi favorisca il mercato dei prodotti più economici a scapito di quelli più “qualitativi”.
Il ruolo e le potenzialità della certificazione
Circa la metà degli intervistati ritiene che la certificazione di un ente terzo costituisca il fattore determinante nel garantire la qualità di un prodotto e di un bene, contro un 27% che pone al vertice la professionalità e un 22,5% che imputa il successo soprattutto alla tradizione e alla storia dell’impresa di costruzione.
Si tratta di un elemento significativo in quanto evidenzia l’importanza della valutazione esterna da parte di una categoria che ha una forte identità e anche un orgoglio professionale elevato.
Un riconoscimento che poi, però, si scontra con una realtà più complicata dove si apre un ampia frattura tra valore formale e valore reale delle verifiche.
Se, infatti, per il 60% degli intervistati la certificazione di un prodotto è sinonimo di qualità, il 44% dei progettisti intervistati dichiara di non fidarsi della certificazione come è fatta oggi in Italia e un 10% ritiene la certificazione solo un costo.
“L’indagine – dichiara Paolo Buzzetti, Presidente di Federcostruzioni – conferma come uno dei grandi problemi del nostro Paese sia quello della certezza della qualità e degli strumenti esistenti per valutarla e certificarla. Come era già emerso nell’indagine presso le famiglie presentata in occasione del MADE ad ottobre sia le famiglie che l professionisti ritengono lo strumento essenziale per dare trasparenza e qualificare il mercato.
Il problema sta nella professionalità e nella corrispondenza tra prestazioni e valutazione. Un nodo che Federcostruzioni ritiene vada sciolto rapidamente. A questo fine stiamo siglando un protocollo di intesa con il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici destinato proprio a garantire una certificazione “reale” evitando fenomeni come il “green washing” che penalizza le imprese serie e dequalifica il mercato”.
Secondo i progettisti, le certificazioni più importanti sono quelle legate alla sicurezza strutturale, seguite da quelle che guardano agli aspetti legati all’efficienza energetica.(impianto termico, idrico ed elettrico).
Nelle certificazioni di qualità delle abitazioni, i progettisti vorrebbero che il peso maggiore fosse attribuito agli aspetti legati all’efficienza energetica, alla tutela dei lavoratori e alla sostenibilità ambientale.I progettisti si dichiarano in grande maggioranza d’accordo sul fatto che la certificazione debba riguardare sia i processi produttivi sia i prodotti e le prestazioni.
E una maggioranza ancora più ampia pensa che la certificazione prestazionale sia l’ambito da far crescere maggiormente nei prossimi anni, per dare importanza ai risultati. La metà dei progettisti si spinge anche oltre, cioè sostiene che la certificazione prestazionale potrebbe sostituire, almeno in parte, le altre forme di certificazione.
“Io ritengo – commenta Augusto Federici, Presidente di Federbeton, la federazione aderente a Federcostruzioni, che ha la delega in materia di qualificazione – che in futuro dobbiamo puntare su certificazioni prestazionali.