Editoria e consumo consapevole: i lettori

Creato il 01 agosto 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Consiglio a tutti la lettura dell’intervento di Sandro Ferri, della casa editrice e/o, pubblicato il 28 luglio sul blog di Loredana Lipperini (http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/).

Lo spunto è offerto dalla legge che limita gli sconti sul prezzo dei libri, e dalle reazioni che ha suscitato. Ma la lettura è utile soprattutto perché si tratta di un mini-saggio sui costi dell’impresa editoriale, con tutte le voci di spesa e le relative incidenze percentuali sul prezzo di copertina.
Al di là delle ovvie differenze relative alle cifre reali portate come esempio (e/o è una media casa editrice, Autodafé è un piccolo editore), sottoscrivo totalmente il contenuto per quanto riguarda la descrizione dei meccanismi del mercato editoriale. Per quanto attiene alle conclusioni, le condivido in parte ma non in toto. In altra sede, prossimamente, spiegherò il perché.
Qui, per ora, mi preme soffermarmi sulle reazioni negative di molti lettori, che hanno accolto la battaglia contro gli sconti come un’azione corporativa, una dimostrazione di inefficienza degli stessi editori e un’infrazione alle sacre regole del mercato (come racconta lo stesso Ferri). Una reazione che non viene, attenzione, dal compratore occasionale e poco attento, ma da lettori abituali, in qualche modo introdotti nei meccanismi dell’editoria e, almeno a parole, sensibili alla sopravvivenza di un’offerta alternativa a quella dei pochi colossi del settore. Una reazione che, peraltro, mi conferma le impressioni ricavate da molte chiacchierate con lettori (o autori) teoricamente sensibili e impegnati.
Ciò che emerge, in questo caso come in altri, è che il “consumatore” di libri appare poco ricettivo di fronte alle proposte di un consumo critico e consapevole, in riferimento alle scelte di acquisto editoriale. E questo, probabilmente, perché l’acquistare libri è considerata di per sé scelta eticamente positiva, e quindi non sottoposta alle ulteriori griglie di valutazione che le stesse persone applicano, magari, quando si tratta di acquistare capi di vestiario o beni alimentari. Le regole che valgono per i beni di prima necessità o per quelli meramente voluttuari non sembrano perciò valere per il libro, perché si tratta di un prodotto culturale che è buono in sé.
In questo modo, il consumatore critico si pone mille domande sulla filiera di un capo di abbigliamento sportivo o di un pacchetto di caffè, che non devono provenire da un produttore che espropria i diritti dei nativi, sottopaga la manodopera, sfrutta il lavoro minorile e quant’altro. Però, lo stesso consumatore (la stessa persona) non si pone alcuna domanda sulla filiera del prodotto editoriale.
Ora, non si tratta qui di sostenere che i libri dei grandi editori siano esito dello sfruttamento e di un ciclo iniquo, da contrapporsi a un ciclo virtuoso che contraddistinguerebbe il prodotto dei piccoli editori (pure se vi è una parte di verità). Si tratta però di cominciare a sviluppare una sensibilità reale sul tema, perché i “crimini economici” si possono favorire anche acquistando un bene alto e nobile come un libro (e magari un buon libro, serio e di elevato contenuto letterario o civile).
La prima discriminante “etica”, nel settore dell’editoria, riguarda ovviamente la distribuzione e la vendita (e qui torniamo alla politica degli sconti). E sarebbe bene che il lettore “sensibile e consapevole” cominciasse a rendersi conto che gli acquisti presso le grandi catene, servite dai grandi distributori, e magari di libri editi dalle grandi imprese editoriali (che possiedono anche le società di distribuzione e le catene di vendita) alimentano sempre e solo lo stesso circuito, che è appunto quello dei grandi editori. I quali, intendiamoci, non è che non pubblichino buoni libri; ma se si inaridisce la concorrenza, se si lasciano sopravvivere solo pochi e grandi editori, il futuro è necessariamente fatto di una minore alternativa di scelta, di un maggior controllo sulla produzione, di leggi di mercato imposte dal grande produttore. Come avviene in altri settori, il futuro rischia di essere fatto di minori diritti e minori libertà.
Ecco perché, come avviene per altri beni (quelli alimentari in primis), i consumatori critici e consapevoli dovrebbero costituire il terreno fertile per una proposta commerciale alternativa, che esuli dalle forme tradizionali (ormai oligopolizzate) e che si fondi sul rapporto diretto tra produttore e consumatore, tra editore e lettore.
Per i piccoli produttori (editori) organizzarsi in tal senso è ormai una necessità. Per i lettori “politicamente sensibili” potrebbe essere una nuova forma di consapevolezza; da esercitare con equilibrio, come opportunità ulteriore e non esclusiva, ma da cominciare a prendere in considerazione.
Perché, senza farsi illusioni, esistono ormai due mercati editoriali, che hanno pochi punti in comune. Solo che uno dei due non ha ancora trovato le sue forme e i suoi spazi. Senza i quali, ovviamente, non può pensare di continuare a vivere.


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