di Iannozzi Giuseppe
Il libro, da sempre, è stato anche un oggetto di consumo e in ciò non c’è niente di male; purtroppo in quest’ultimi anni il libro è stato ridotto a mero oggetto di consumo «usa e getta», per cui non dura neanche un anno. Si scrivono e si pubblicano libri scevri di contenuti e di stile: ovvio che vendano solo durante il momento della moda, e che nel giro di un anno o giù di lì siano sol più buoni per finire al macero, nemmeno buoni per una seconda possibilità nei remainders.
Le scuole di scrittura hanno contribuito non poco a mettere sul mercato scrittori, che tali non sono: non è sufficiente che uno oggi sappia tenere in mano una penna per poterlo indicare, senz’ombra di dubbio, che è uno scrittore, per giunta con la S maiuscola. Per i semi-analfabeti sono state create collane editoriali apposite, che hanno nomi assurdi o molto elastici, tipo Strade Blu e Stile libero, giusto per citarne due da tutti conosciute. In queste collane vengono accolti sédicenti scrittori, perlopiù contemporanei, che con la scusa di adoprare uno stile minimalista (o carveriano) si permettono di scrivere in una lingua inesistente, vagamente somigliante all’italiano. E solo di rado si rischia d’incappare in un lavoro un po’ valido. Sia come sia, i libri che non valgono, domani non saranno più: ci sono troppi libracci scritti per essere dei prodotti e la Storia non può permettersi di conservare tutto l’«usa e getta» che la società produce.
Non troppo spesso autori – che nella propria epoca non trovano riscontro – vengono scoperti (o riscoperti) postumi. Non è una grande consolazione, ma è pur sempre qualcosa che vale la pena di prendere in considerazione. Non di rado sono i piccoli editori a recuperare da un ingiusto oblio autori validissimi, ma che nel loro tempo storico non incontrarono l’attenzione del pubblico e della critica; e molti libri veramente validi, sotto ogni punto di vista, vengono oggi pubblicati dalla piccola editoria, il cui tallone di Achille è purtroppo la distribuzione. Tuttavia il lettore che vuole leggere un buon libro, che non vuole infognarsi nella lobotomizzazione imperante, con un po’ di buona volontà riesce a reperire quegli autori e quei titoli che gli interessano. Par superfluo evidenziarlo, ma il lettore deve anche sapersi tenere informato sulle uscite editoriali, altrimenti tanto vale che si getti a capofitto nelle mode del momento.
Il NIE è una subdola astuzia per dichiarare “noi siamo quelli che scrivono bei libri, tutti gli altri fanno cagare”. E’ questo il messaggio ultimo nel New Italian Epic, un messaggio che non è neanche poi troppo velato e che i critici hanno impiegato tempo zero a evidenziare. In sostanza non un critico, dal più famoso al più micragnoso, ha preso sul serio il NIE: a prenderlo sul serio è stato solamente chi compromesso nel NIE, compresi due o tre critici inventatisi tali per l’occasione!
Il bisticcio fra critici e questi autori è cominciato un po’ di tempo or sono; ma credo che oggi sia alle sue battute finali, considerati i risultati ottenuti, che rasentano lo zero assoluto. In ogni caso, questi scrittori, che da sé si sono autocelebrati come LA VERA LETTERATURA ITALIANA, sono riusciti a raccogliere un po’ di tante risate e non da ultimo il fastidio dei critici. Si spera che questi signori adesso, complice l’estate, si diano una bella calmata e tornino a scrivere invece di sputare addosso a tutti come cammelli.
La critica ha il dovere di sfrondare la cultura: inutile portare avanti ciò che non vale, è deontologicamente sbagliato. La critica deve saper essere anche cattiva, anzi deve essere cattiva, altrimenti non sarebbe tale e non servirebbe né la Cultura né i lettori.