Edmondo De Amicis e i suoi racconti

Da Lory663
"Pensa agli innumerevoli ragazzi che vanno a scuola in tutti i paesi; immagina questo vastissimo formicolio di cui fai parte: se questo movimento cessasse, l'umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo".
Così Edmondo De Amicis esortò lo Scolaro, e per lui egli scrisse un libro, interessante, commovente e, nello stesso tempo, d'alto valore educatico: "Cuore".
 Per saper scrivere un libro gradito ai ragazzi, bisogna conoscerli e amarli: Edmondo De Amicis fu senza dubbio uno degli scrittori che più li amò e capì, forse perchè fu un padre attento e amoroso, forse perchè ebbe il dolore di vedersi rapire dalla morte uno dei suoi figli.
Nacque ad Oneglia, nel 1846 e morì a Bordighera nel 1908. Abbracciata in un primo tempo la carriera militare, preferì ritirarsi a vita privata per poter con più libertà svolgere la professione di scrittore. Fu autore fecondo e amatissimo dal pubblico: delle numerose opere ricordiamo "Bozzetti della vita militare" (una raccolta di articoli scritti quando ancora vestiva l'uniforme), "Novelle" e le sue vivaci impressioni sulla Spagna, Olanda, il Marocco, Parigi, Londra, Costantinopoli.
Dopo un intenso periodo di viaggi, fissò la sua residenza a Torino e condusse una vita modesta e ritirata tutta pervasa di affetti familiari. Egli sapeva molto meglio degli altri guardare gli uomini, aveva gli occhi e il cuore per capire le loro pene, penetrava con un acuto esame psicologico nei loro caratteri. "La carrozza di tutti", edito nel 1899, che è il diario di un anno di osservazioni su di un tranvai di Torino, ci rivela chiaramente queste sue innegabili doti. Ma la sua prosa si rivelò più che mai viva e completa negli scritti educativi; qui, egli profuse le doti di bontà e di ottimismo così profondamente radicate nel suo animo.
Il "Romanzo di un maestro" e Ricordi d'infanzia", rispecchiano la sua gentilezza di spirito, anche se a volte il suo stile è un pò monotono. Fu forse il suo affetto di padre che lo indusse a rivolgere l'attenzione al mondo dei fanciulli, e, da padre ansioso di vedere crescere i suoi figli sani nell'animo e nel corpo, volle scrivere un libro che nello stesso tempo li divertisse e li educasse. Questo libro che riscosse un immediato consenso da parte del pubblico, si chiama "Cuore", e il titolo è ben degno dei sentimenti di affetto e di nobiltà d'animo a cui l'opera si ispira.

Edito per la prima volta nel 1886, "Cuore" subì numerosissime ristampe e si può dire che, di tutta la produzone letteraria del De Amicis, esso fu il più amato e il più letto. Non è un romanzo vero e proprio, bensì un diario, immaginato dall'autore come se fosse stato scritto da un ragazzo sui dodici anni e corretto in seguito dal padre. La narrazione quindi è episodica: episodi quotidiani avvenuti fra le quattro pareti domestiche, in classe o durante il tragitto dalla casa alla scuola. Ravvivano queste pagine i bei "racconti mensili" nei quali i piccoli protagonisti, per la semplicità e l'umiltà con cui compiono delle belle azioni, assumono le dimensioni di grandi eroi.

La classe elementare descritta dal De Amicis.

Rievochiamo alcuni amici di Enrico, l'immaginario ragazzo che, secondo il De Amicis, avrebbe scritto questo diario: l'autore ha saputo darci di loro dei ritratti così nitidi e semplici, ce li ha descritti con tale affetto e minuzia di particolari, che quasi li riconosceremmo, se dovessimo un giorno incontrarli mentre escono di scuola.
Garrone, buono e forte, sembra un mitico gigante protettore degli oppressi. I birichini, intimiditi da quelle sue grosse manone che san dare talvolta lezioni più eloquenti dei rimproveri del maestro, fan silenzio e si acquetano quando egli interviene, mentre Nelli, il gobbino, macilento e pavido come un essere senza difesa, gli si avvinghia al braccio come un figliuolo a quello della sua mamma, e vorrebbe averlo sempre vicino perchè lo protegga dagli scherzi dei malvagi. Derossi, il primo della classe, non ha i difetti che solitamente hanno i ragazzi quando sono nella sua privilegiata posizione: è buono, aperto, vivace, generoso con i compagni e pronto ad aiutarli quando, agli esami, si trovano in difficoltà; persino Votini, il vanitoso sempre preoccupato di sfoggiare nuove eleganze, alla fine dell'anno sente il bisogno di domandare a Derossi perdono per quel poco d'invidia che ha sempre nutrito per lui.

Coretti, il figlio del legnaiuolo, talvolta s'addormenta in classe perchè alla mattina si leva di buon'ora per scaricare la legna in magazzino. Ma non gli pesa il lavoro, tutt'altro: è orgoglioso quando può mostrare ad Enrico la sua vita di piccolo operaio. E a lui, al "muratorino" e a Precossi, figlio di un fabbro ferraio, si direbbe che vadano le simpatie di Enrico che, figlio di un agiato professionista, ammira in questi piccoli amici la maturità che la miseria  e il lavoro hanno loro dato.
Garoffi, lungo e magro, "col naso a becco di civetta e gli occhi piccoli e furbi" è un commerciante in erba: non c'è pennino, francobollo, o carta asciugante che giaccia dimenticato sul banco, che già il piccolo affarista si precipita, pronto a farlo sparire nelle sue tasche, per rivenderlo ai compagni più prodighi. Stardi, il volenteroso, "col capo quadro e senza collo", è il più studioso: si incanta a guardare le vetrine dei librai ma non ruba un minuto agli studi, spolvera i libri della sua biblioteca con lo stesso amore con cui Enrico ripone i suoi  giocattoli, e, col capo fra le mani, chino sul compito, non si distrae sino a che non abbia finito.
Nobis e Franti sono i più malvagi del gruppo: il primo è la vera personificazione della superbia, il secondo del cinismo. Nobis si spolvera ostentatamente la manica quando Precossi gli si accosta coi suoi abiti da lavoro, Franti ha il coraggio di sorridere al passaggio di un operaio caduto sul lavoro. Ma si direbbe che il De Amicis detesti la malvagità a tal punto, da non volerne neppure parlare: Franti, infatti, uscirà ben presto dall'aula scolastica e dalle pagine del libro, espulso per le sue malefatte, e Nobis, quando appare è sempre fatto oggetto di scherno da parte di tutti.
Anche i maestri, in questo libro, hanno pagine degne della loro fatica: povere creature che sentono il loro lavoro come una missione e che, per un mazzolino di fiori, per un gesto affettuoso da parte degli scolari, si sentono del tutto ripagate.

I racconti mensili

I racconti mensili, narrati in classe dal maestro, che così piacevano ad Enrico ed ai suoi amici, sono tutti assai belli e ben scritti: fra questi, Il piccolo patriota padovano, La piccola vedetta lombarda, Il tamburino sardo, sono assai significativi, non solo per l'interesse della narrazione, ma anche per l'amor patrio di cui sono pervasi: leggendoli, non dobbiamo dimenticare che all'epoca in cui scriveva il De Amicis, l'Italia era uscita da pochi anni dalle gloriose guerre d'Indipendenza e che nella Nazione da poco unita vi era un unanime entusiasmo ed un uguale fervore.
Nel piccolo emigrante padovano che, ritornando in patria su di una nave straniera, ha il coragigo di rifiutare il denaro di coloro che parlano male dell'italia, nel contadinello lombardo che, trovatosi sul teatro della guerra fra Piemontesi ed Austriaci, non esita a dare la sua vita per rendere un servizio ai compatrioti, nel tamburino sardo che, per portare soccorso ad un drappello di fanteria assediato dagli Austriaci, non esita a sacrificare una gamba, noi sentiamo che c'è un uguale sentimento,e soprattutto la semplicità e l'umiltà delle anime veramente grandi che mai si inorgogliscono di un bel gesto.
E' l'amore alla famiglia che ispira i racconti: Il piccolo scrivano fiorentino, Sangue romagnolo, Dagli Appennini alle Ande. Il piccolo fiorentino, a scapito della salute e degli studi, si leva ogni notte per proseguire il lavoro che il padre stanco non ha ultimato: e, mentre i genitori non s'accorgono di nulla, e sempre sono pronti a rimbrottarlo per le votazioni che di mese in mese si fanno più scarse, il piccolo tace il suo segreto, sino a che, una notte, il padre, svegliatosi per un improvviso rumore, sorprende il figlio chino sul lavoro e ne capisce il sacrificio.
Sangue romagnolo è ispirato ai famosi episodi di brigantaggio che afflissero le contrade della Romagna nel secolo scorso. Questa volta è un nipotino che, per salvare la nonna dalla coltellata di un malfattore,le fa scudo con il suo corpo e le muore accanto chetamente, quasi che con questo gesto le abbia voluto chiedere perdono di tutte le marachelle fatte.
Dagli Appennini alle Ande è forse il racconto più commovente. Un piccolo genovese affronta le traversie di un viaggio oltreoceano per andare in cerca della madre, costretta dalla miseria a lavorare in America. Dopo giorni e giorni di peregrinazioni, il piccolo giunge lacero e sfibrato alla casa della madre, ed il suo intervento avrà il benefico effetto di convincerla a lasciarsi curare da una terribile malattia e a guarire.
Non dimentichiamo L'infermiere di Tata, Valor civile e Naufragio: in questi ultimi racconti i protagonisti si sacrificano per il prossimo, verso il quale nutrono un amore pari a quello che sentono per la loro famiglia. Nel primo un fanciullo veglia al capezzale di uno sconosciuto in punto di morte, nel secondo un ragazzo salva il compagno dai gorghi del fiume, nel terzo un orfanello, pur sapendo di non poter altrimenti scampare alla morte, cede ad una giovane amica conosciuta durante la navigazione, il suo posto sulla barca di salvataggio.
E' un libro questo, che non si dimentica neppure con il passare degli anni, perchè in esso è espressa tutta la poesia dell'infanzia, di questa età meravigliosa che l'uomo maturo ricorda sempre con un pò di nostalgia.

Leggiamo insieme alcuni racconti di Edmondo De Amicis

Dagli appennini alle Ande


Il piccolo scrivano fiorentino


Il tamburino sardo

L'infermiere di tata


La piccola vedetta lombarda

Il piccolo patriotta padovano



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