di Augusto Benemeglio
Edoardo De Candia
Sono pochi, sono rari, i creativi. E lui, Edoardo De Candia, l’Anglo, Odoacre, il Vikingo, il Cavaliere della Notte, il Santo bevitore, il Matto di Lecce, lui lo era davvero. Una via di mezzo tra Ligabue, (lo scemo del villaggio, grezzo, istintivo, infantile) e Van Gogh, uno che intingeva i pennelli nel proprio sangue, pittore per disperazione, emblema del dramma dell’artista che si sente escluso dalla società. E De Candia, come Van Gogh, come Ligabue, fu escluso dalla società e, come loro, morì pazzo senza che la sua arte sia stata riconosciuta in vita.
Che arte? Pensate ai fauvisti, ai Derain e ai De Vlaminck, più che a Matisse, a quei colori mobili e avvampanti che man mano si fanno sete di libertà, spazi di passione, ma anche labirinti, silenzi, incantesimi, deserto infinito, lontananza senza più ritorno. Ne parlai molti anni fa con Maurizio Nocera, un testimone, un amico, uno che lo ha assistito negli ultimi giorni di vita, con pietà commossa, fraterna, con amore vero dell’uomo verso “l’altro”.
Opera di De Candia
Uno che si è preso il suo ultimo vomito addosso prima che morisse, in quel torrido agosto del 1992, all’”OPIS” di Lecce, dove Edoardo aveva camminato per centinaia d’ore fermo su un solo mattone, sempre lo stesso, con le decorazioni consumate dai suoi piedi nudi, per nascondere, occultare l’altro se stesso che gli rideva dentro, inafferrabile, indelebile, invisibile, equilibrista del nulla, consumato clown a cielo aperto, cielo chiaro, azzurrissimo, segno della dimenticanza…. Nocera ricordava i sospiri, i lamenti, le lacrime (Oh, lasciatelo piangere, perdio!) di quell’enorme Don Chisciotte, tra le padelle e le flebo, il sangue e l’ orina: “Io ho fatto Tarzan, io. Ho vissuto nella jungla. Che ci faccio ora qui, nella merda?”, diceva.
Opera di De Candia
Il meraviglioso privilegio dell’arte – scrisse Baudelaire – è che lo spaventoso, espresso con arte, diventa bellezza, e che il dolore ritmizzato, articolato, riempie lo spirito di una gioia tranquilla… Ma non è così, non è così, protestava Maurizio. La sua vita è stata solo inferno, senza requie…la morte è stata per lui liberazione. (“Non ho paura della morte, vorrei morire per non soffrire”)
A San Pio, al suo funerale, un funerale povero, di quarta classe, eravamo tutti atei, silenziosi. Nessuno che sapesse rispondere al prete, nessuno che volesse dire un amen. “Esce di scena un artista che amava la notte il mare e l’aria aperta”, disse poi Tonino Caputo, rievocando gli anni dell’infanzia e della giovinezza e i viaggi a Roma. Sembrava un funerale alla chetichella, da consumarsi in fretta in fretta.
Opera di De Candia
Opera di De Candia
La bara e il corteo entrarono nell’ingresso di servizio per lavori in corso al portone principale della Chiesa, la cerimonia fu rapida, scarna, essenziale, da tomba sul mare, mancava solo un fischio prolungato, lontano, e la bara che scende giù, nel gorgo, coi marinai ritti sull’attenti, a poppa della nave. Un funerale davvero povero e grigio, con quattro gatti, i pochi amici veri, e una serie di flash irrelati di memoria, che ciascuno si portava con sé.
Edoardo che ride con quella sua risata fragorosa, ride e scorreggia, scorreggia e ride, e poi orina addosso all’amico dall’alto del susino, come farebbe Tarzan con Cita nella jungla. Con il fotografo e Antonio Verri, — raccontava Nocera – una sera siamo andati a casa sua, con tante belle domande in testa. L’omone era abbronzato, beveva vino e birra a gogò, ma non diceva niente.
Opera di De Candia
Edoar, barbaro giocoso, ti ricordi di Frances, la marsigliese, di quel Natale passato con lei alle Cesine?, gli diceva Verri; e il falò dei quadri che bruciasti alle spalle del Castello Carlo V, tu insieme a Saverio Dodaro, te lo ricordi? E l’olandese volante con la sua Ford tulipano, l’auto-dormitorio-ufficio-alcova? Quante scopate in quell’auto, eh? E lui: “Natale, Pasqua, e gli altri giorni. Tutti uguali, tutte cazzate…Gli artisti sono tutti merdosi…”.
E la musica cinese, e la filosofia orientale, il pagliaro della spiaggia di San Cataldo, dove passavi le tue notti insieme ai sorci e mettevi da parte le patate bollite anche per loro? Sono tutte cose – continuava Nocera — che trovi in quel gioiello di libro che è “Edoardo”, Edizioni d’Ars, 1998, di Antonio Massari, fraterno amico d’infanzia di De Candia. E’ uno che vive da molti anni a Milano, uno in gamba, che ha trovato la propria strada.
Opera di De Candia
E’ il figlio del celebre pittore Michele, lo ricorderai, uno dei più significativi della stagione d’oro leccese. E’ pittore anche lui ed è bravo, ma è anche uno scrittore vero, uno che scrive da dio. (continua…)
[Ndr: nell'ultima parte sarà disponibile l'ebook integrale con ulteriori opere di Edoardo De Candia]