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Educare all'accoglienza /Spazio Società

Creato il 02 dicembre 2014 da Marianna06

 

LeHavre

 

Coi tempi che corrono e i non pochi problemi legati all’occupazione carente e, quindi, all’economie familiari in difficoltà, non è semplice nelle nostre realtà indurre le persone all’accoglienza dello straniero.

Lo leggiamo sui giornali. Lo vediamo e ne sentiamo parlare troppo spesso in tv.

E non di rado ce lo manifestano, a viva voce, alcuni nostri stessi conoscenti.

Invece, ad essere sinceri, accoglienza non è impossibile.

E lo diventa o lo può diventare, fattibile e pure gratificante, se ci si educa a farlo, e se si tiene conto dell’importanza di una  tale scelta in termini di ricadute , che non possono  che essere  positive per la collettività tutta.

Naturalmente le istituzioni pubbliche non devono essere latitanti.

Il privato non deve sostituire interamente il pubblico.

E non lo devono essere specie quelle istituzioni che, per consuetudine, lamentano quasi sempre la mancanza di mezzi finanziari, che destinano ad altre voci di bilancio.

E mi riferisco, in particolare, ai comuni.

Comuni di cui, tuttavia, non ignoriamo le difficoltà dopo le ultimissime misure restrittive, che sono piombate loro dall’alto.

Ciascuna realtà territoriale, in base alle disponibilità residenziali, economiche  e soprattutto umane, cioè  di personale competente (il famoso “formare i formatori”), potrebbe organizzare localmente dei laboratori sul diritto d’asilo,in piccolo o in grande, a seconda dei casi.

E coinvolgere sia i  giovani che i meno giovani,  persone motivate, nonché operatori dei servizi sociali, allo scopo di acquisire in reciprocità le debite competenze per la gestione dell’accoglienza dello straniero.

Perché accoglienza, è bene ricordare,oltre che dovere, nel caso del profugo o del richiedente asilo è essenzialmente un diritto.

Rientra in quello che si chiama diritto internazionale.

E, soprattutto, non è mai improvvisazione.

Per essa non basta certo la “pappa di cuore”.

L’accoglienza potrebbe essere, ad esempio, un inserimento temporaneo, in attesa di sistemazione e di  autonomia lavorativa, nell’ambito di una famiglia disponibile e sostenuta dalle istituzioni economicamente.

E, in questo modo, dalla famiglia l’ospite integrato  passa poi nel contesto sociale del quartiere e, successivamente, in quello della città.

Senza dire che il percorso non deve necessariamente partire, in primis ,dalla famiglia.

Può avere luogo anche in edifici forniti di idonei requisiti abitativi, se questi ci sono, e poi da lì il graduale passaggio d’accoglienza è  presso una possibile famiglia.

 

           a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

 

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