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Educare alla fatica, educar-si alla fatica 2 - Il dubbio

Da Massimo Silvano Galli @msgdixit
Educare alla fatica, educar-si alla fatica 2 - Il dubbioIl Post sulla Piccola Palestra Per la Gestione delle Piccole e Grandi Fatiche ha suscitato una certa curiosità rispetto ad un modo di lavorare che mette al centro dell’attenzione il genitore come possibile motore di un cambiamento che parte proprio dalle modalità che utilizza, ma soprattutto dall'approccio alla lettura delle proprie abilità e delle proprie competenze, non come doni naturali o addirittura genetici ma come risultato di un lavoro progressivo e “ad personam”che è possibile impostare per ognuno e che deve rispondere alle esigenze e alle caratteristiche precipue di quello specifico genitore che ha quella specifica famiglia con quegli specifici figli.
Qualche anno fa entrai in forte polemica con un ente che pubblicizzava i propri percorsi sulla genitorialità come corsi per avere la patente di genitore e osai osservare che quella formula lasciava presumere che non solo esisteva un modo buono di fare il genitore, valido per tutti, ma che ci fosse anche qualcuno in grado di abilitare qualcun altro a fare il genitore.
Ovviamente si levarono una serie di proteste, fatto sta che l’immagine di una patente rosa, come quella che si conseguiva per essere abilitati a guidare un auto, campeggiava sui numerosi manifesti che tappezzavano la città. 
Il lavoro con la famiglie, i percorsi con i genitori, i tanti laboratori condotti mi insegnano, molto umilmente, che si può essere genitori in tanti modi, ognuno anche secondo le proprie capacità e possibilità, ognuno secondo la propria elaborazione di un modello genitoriale che ha conosciuto da figlio e dal quale si è dovuto in parte emancipare e in parte ne ha dovuto riconoscere la validità.
Tutti i genitori sono stati anche figli e lì hanno appreso qualcosa con la quale, una volta diventati genitori hanno dovuto confrontarsi. 
Una cosa che nel tempo ho imparato a dire ai genitori è che un buon genitore, è un genitore che sa sbagliare e che sa riconoscere i propri errori. 
Questo, inizialmente, desta sospetto e diffidenza in alcuni, incuriosisce altri, irrita qualcuno e rasserena altri ancora; fatto sta che quando si parla di questo si apre veramente un mondo interessante di discussioni, opinioni, confronti e, a volte, polemiche. 
Il muscolo del quale parleremo in questa sessione è quello del dubbio che forse è il muscolo da allenare con più cura e continuità per poter praticare quel necessario esercizio educativo che ci consente di riconoscere i nostri errori e non guardarli come fallimenti ma come occasioni per comprendere meglio quello che accade e il senso altro che le cose possono avere. Dice il solito e onnipresente Oscar Wilde (che di solito evito di citare ma che in questo caso mi aiuta davvero a spiegarmi): "Si parla tanto del bello che è nella certezza; sembra che si ignori la bellezza più sottile che è nel dubbio. Credere è molto monotono, il dubbio è profondamente appassionante” e con queste parole ci conduce al pensiero che tutti concentrati a dover credere in qualcosa e sapere qualcosa ci convinciamo che in quelle credenze e in quel supposto sapere vi sia un’assolutezza rassicurante. 
Insomma, a volte ci illudiamo di aver trovato una verità ultima e definitiva fino a quando la concretezza degli eventi e delle conseguenze delle cose non ci palesa ben altri scenari e ben altre questioni. 
Ma la cosa ancora più inquietante è che spesso, malgrado l’evidenza dell’errore insito nelle nostre credenze e nei nostri saperi, ci aggrappiamo ad essi continuando a crederci fortemente, a tratti, disperatamente. 
È il caso di molti genitori che convinti che un certo modo di agire verso i figli (ad esempio quando si parla di disciplina) sia l’unico sano, corretto e coerente con i loro principi irrinunciabili e assolutamente giusti, senza lasciarsi cogliere anche solo per un attimo dal dubbio, affliggono la relazione con i figli di colpi fatali e metodici che indeboliscono giorno per giorno, la struttura stessa di quella relazione. E questo è valido tanto che si parta dal dogma della disciplina, quanto da quello del laissez faire, laissez passer
Il fatto è che ci risulta difficile anche solo pensare di rinunciare ad una idea rassicurante di soluzione efficace unica e funzionante, ad un’integerrima e pitrea idea di educazione e di relazione, per poter stare invece dentro all’evoluzione naturale e necessaria dei cambiamenti che non sono solo quelli dei nostri figli ma anche i nostri cambiamenti, continui, naturali, ma anche imprevedibili e sorprendenti. 
Avere dubbi non significa solo mettere in discussione ciò che crediamo di sapere ma anche pensare che sia possibile andare oltre quello che riteniamo di aver conquistato partendo dal presupposto che nulla è definitivamente fondato, che esiste anche e sempre un altro modo di manifestarsi della realtà delle cose. 
È questo che da spazio all'Altro nella relazione educativa, che lo rende attivo, vivo e soprattutto protagonista, perché nella relazione educativa non ci sono comparse, tutti sono sempre protagonisti
È quello che tento di dire a un papà che fa fatica a riconoscere la sua parte nel fallimento scolastico del figlio, laddove non riconosce se stesso nello specchio che il figlio rappresenta, è laddove il giovane uomo che ho di fronte trascura il primato della relazione e della relazione educativa in particolare. Il papà dimentica (o forse ignora) che l’esito, il risultato, spetta sempre, volenti o dolenti, a una “danza di parti interagenti” di cui non siamo che una delle parti. 
Saper navigare nell’incertezza non significa naufragare nella passività e nell'impossibilità dell’azione. 
Ma come possiamo allenare il muscolo del dubbio? 
Quali sono le pratiche che possono aiutarci a conoscerlo, rinforzarlo ed esercitarlo proficuamente senza rinunciare ad agire nella relazione con i nostri figli? 
Una delle prime tecniche che ritengo fondamentali per un allenamento iniziale - che può essere protratto e diventare un vero e proprio esercizio spirituale - è quello della sospensione del giudizio, un vero e proprio elisir per favorire l’incontro con l’Altro, per praticare uno sguardo pronto a guardare alle altre verità possibili senza affezionarsi ossessivamente e perigliosamente alla propria. 
Questo esercizio va condotto con molta attenzione senza trascurare la prima sessione del nostro training soprattutto per quello che riguarda il muscolo dell’umiltà. 
Consiglio di cominciare gradualmente partendo dalle piccole cose. 
Mi viene in mente la continua lamentela dei genitori degli adolescenti rispetto al disordine delle camere dei ragazzi e delle ragazze. 
Quello che il genitore chiama disordine. visto dall’altra parte è solo un ordine diverso, un altro modo di mettere in relazione le cose. 
Certo, solo questa piccola cosa già vi risulta molto faticosa ma come tutte le attività di allenamento richiede fatica e devozione e soprattutto tanta e tanta volontà. 
Ma come abbiamo visto nella prima sessione, la volontà è il muscolo fondamentale. 
Aspetto con molto piacere osservazioni ed eventuali testimonianze di chi vorrà provare a mettere in atto questi primi allenamenti. Buon lavoro.
Michele Stasi

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