Anno: 2013
Nazionalità: Italia
Genere: Drammatico
Regia: Gabriele Salvatores
Distribuzione: 01 Distribution
Uscita: 28/02/2013
Alla base della sceneggiatura, scritta da Rulli, Petraglia e Salvatores, c’è l’omonimo libro del 2009 di Nicolai Lilin che si trova al centro di un caso editoriale che ha sollevato più di qualche dubbio. L’autore del romanzo è un giovane Moldavo, naturalizzato italiano, proveniente dalla regione della Transnistria che si è distaccata dalla dalla Moldavia per formare uno stato indipendente, protetto dalla Russia ma non riconosciuto da nessuno stato. Questa regione è al centro di numerosi traffici illeciti e fenomeni criminali ma la ricostruzione storica operata dal romanzo e fatta propria dal film, secondo cui alla base della formazione di questo stato ci sarebbe il progetto staliniano di riunire tutti i criminali in un un’unica regione, è stato più volte contestato da diverse fonti. Numerosi dubbi sono stati espressi anche sull’autore del romanzo che realizza un romanzo di successo all’anno senza neppure parlare correttamente la nostra lingua. E le perplessità non riguardano solo il suo successo editoriale ma anche la sua biografia che presenta diversi punti incomprensibili, quale la partecipazione alle guerre russe pur non essendo russo o l’incomprensibile ammissione di essere stato un agente del Mossad e la dichiarazione di essere sotto tutela delle forze dell’ordine per non precisate motivazioni. Tuttavia è possibile prescindere da queste premesse e puntare l’attenzione sulle dinamiche di relazione dei personaggi del film.
Nella ricostruzione operata dal film si fa riferimento allo specifico clan dei Siberiani che si distinguerebbero dagli altri per essere dotati di una loro rigida morale interna, al punto da autodefinirsi “onesti criminali”. L’educazione a cui si fa riferimento è quella criminale, impartita da nonno Kuzja (John Malkovich) a due bambini che crescono come fratelli inseparabili. Ma la vita si prenderà l’incarico di separarli e gli darà una ragione per contrapporli uno all’altro. Cosicché alla fine sembrerà che tutta la vita sia stata una lunga rincorsa fino al momento finale, quello che nella cultura del clan siberiano è chiamato l’incontro di destini. Anche qui, come nei classici di Dostoevskij, Il destino ha un ruolo fondamentale e lo spessore morale di un uomo sta nella sua capacità di riconoscere il ruolo che il destino gli assegnato ed accettarne le conseguenze. Ma tornano alla mente anche altre storie. La tensione tra i due protagonisti che si cercano fino alla fine, richiama la struttura del romanzo di Sandor Marai, Le braci (1942). Gli elementi che entrano in gioco sono anche qui l’amicizia, l’amore per una donna, il tradimento e il confronto finale. Ma non sono solo questi gli eco che si ritrovano nel film che, per stessa ammissione del regista, condivide le suggestioni alla base del film di Kurosawa, Dersu Uzala (1975), in cui un cacciatore siberiano era custode di antiche tradizioni che andavano scomparendo con l’avanzare della modernità.
Sullo sfondo si agitano i grandi cambiamenti della storia, la caduta del muro di Berlino, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e le guerre che ne sono derivate, l’arrivo della cultura occidentale che rappresentano i vettori su cui la modernità è penetrata in nuovi territori, spazzando vie le tradizioni e le culture ancestrali. Salvatores sgombera il campo da ambigue interpretazioni, dichiarando che il film non ha nessun intento sociologico o politico ma si limita a raccontare l’educazione di un giovane, realizzando un vero e proprio romanzo di formazione, in cui il ruolo dei grandi stravolgimenti storici irrompe drammaticamente nella vita del protagonista che, tuttavia, saprà trovare una dimensione interiore in cui salvaguardare il ruolo del suo passato, salvaguardandolo dall’omologazione.
Complessivamente Salvatores riesce ad essere coerente con i propri obiettivi sebbene alcune scelte narrative realizzate soprattutto nel finale, eccessivamente sottolineato e semplificato, possono rappresentare un cedimento nel controllo dell’omogeneità narrativa e della tenuta del registro drammatico.
Pasquale D’Aiello