La storia è in sé abbastanza semplice: due ragazzi, due amici, Kolima e Gagarin, crescono assieme all’interno di una specie di clan – i siberiani – e in questo crescere assieme sperimentano la durezza della vita, resa ancor più cruda dal loro essere, in sostanza, parte di una famiglia criminale impegnata, prima e dopo il crollo del Muro di Berlino, in attività illecite e attenutate solo dall’innocenza della loro età, innocenza che però se ne andrà presto. Dall’amicizia fraterna i due passeranno, nel tempo, a vivere così divisioni che si faranno progressivamente più laceranti fino ad un finale che mi guardo bene dall’anticiparvi.
Quello di Educazione siberiana posso dirvi è che una sorta di “Meglio gioventù” in salsa russa, con una narrazione cronologicamente estesa, di anni, e che solo a tratti – anche grazie ai continui rimandi al passato – rischia di annoiare. Riuscitissima è la rappresentazione di questa famiglia di delinquenti animata da uno severo codice etico e religioso di cui John Malkovich è superbo interprete nelle vesti di capo carismatico. Gabriele Salvatores, traducendo in pellicola l’ennesimo romanzo (questa volta è il turno di Educazione siberiana, Einaudi 2009, di Nicolai Lilin), ci consegna dunque un film particolare, drammatico e a tratti commovente.
Se volete continui colpi di scena oppure divertimento, evitatelo. Se invece cercate un buon film, non necessariamente indimenticabile ma comunque valido, con una trama ed un racconto densi, Educazione siberiana fa per voi. Voto: 7 e 1/2.