Educazione siberiana, il film.

Creato il 28 febbraio 2013 da Martahasflowers

A me Gabriele Salvatores piace.
Mi piace perché ha tutta l'aria di essere un uomo gentile e trovo che la gentilezza sia un valore prezioso, anche se di questi tempi sembra non andare molto di moda (Grillo docet).
Tra i titoli mito dei miei 20 anni c'è per esempio Marrakech Express, che avrò visto duecento volte, e prima c'era Kamikazen, Ultima notte a Milano, un film che a noi milanesi di quell'età lì ci apriva il cuore, con un Paolo Rossi meraviglioso perché al tempo era ancora geniale.
Poi Salvatores ha girato Turné, una bellissima storia d'amore, e Mediterraneo, che ha pure preso l'Oscar (anche se... mah) e poi ha fatto altre cose così cosà, ma poi, qualche anno fa, ha girato anche Io non ho paura, tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti, che già era un romanzo meraviglioso. E anche il film l'ho trovato sublime, commovente, straziante (a parte gli ultimi tre minuti, ma vabbè).
Adesso esce il suo nuovo lavoro, pure questo tratto da un libro (anche se meno bello di quello di Ammaniti): Educazione Siberiana, di Nicolai Lilin.
Ecco, io il film l'ho visto la settimana scorsa e mentre pedalavo per andare al cinema ero tutta contenta, perché avevo appena letto il libro, perché avevo intervistato Lilin, perché a me Salvatores piace. Ero curiosa di vedere come avrebbe raccontato il declino della comunità di vecchi fuori legge siberiani, seguaci di una "onesta" etica criminale destinata a finire travolta dall'arrivo del consumismo, dopo il crollo del muro di Berlino. Volevo vedere come avrebbe raccontato Kolyma, il ragazzino protagonista, lui che aveva così ben raccontato il bambino di Io non ho paura. Volevo vedere Malcovich nei panni di nonn Kuzja. Volevo vedere come Salvatores aveva immaginato quelle atmosfere, a quali delle tante storie del libro aveva scelto di dare vita. Ero curiosa e ben disposta.
Solo che poi a me il film non è mica tanto piaciuto. Accidenti. Per carità, è un film dignitosissimo, e si vede che Salvatores ce l'ha messa tutta. Si sente che è un'operazione sofferta. Ma questa intensa brama di fare un bel film mi è sembrata controproducente. Perché è come se Salvatores a ogni passaggio mi dicesse: adesso ti faccio vedere un momento poetico. Adesso invece ce n'è uno straziante. Stai pronto che ora ti porto dentro una scena brutta, sporca e cattiva. Ora invece concentrati bene che Malcovich ti dirà parole che non potrai più dimenticare.
Il tono è spesso troppo telefonato e questo rende l'opera meno coinvolgente di come potrebbe essere. Perché se è vero che l'immagine della giostra colorata che si staglia in contrasto con i casermoni in stile sovietico che le stanno dietro ha una sua carica poetica, dopo però non puoi girarmi una scena da cornetto algida con i protagonisti che ridono spensierati ruotando su quella giostra. Non ce n'era bisogno. Come non c'era bisogno di far parlare Malcovich in quello strano modo un po' robotico. Quando apre la bocca lui, tutto si sospende e con improbabile accento slavo dice verità di saggezza encomiabile. Ma c'è troppa enfasi e ti viene il nervoso.
Insomma, c'è qualcosa che non funziona nel registro di alcune scene e anche negli attori. È come se Salvatores non fosse riuscito ad andare nel profondo dei personaggi, che pure sono bei personaggi, che potevano essere indagati soffermandosi sulle sfumatore. Invece qui, sullo schermo, perdono spessore.
Non è un brutto film, Educazione Siberiana, ma non è certo un film riuscito. Anche se mi resterà a lungo negli occhi la scena dell'entrata in carcere di Kolyma, quando dal buio escono dieci, cento, mille bambini rapati e vestiti di stracci...È una scena silenziosa, secca, potente. Lì Salvatores ha toccato la magia. Peccato che poi se la sia persa per strada. Peccato davvero.

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