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EDWARD GORDON CRAIG #teatro #scena #avanguardia

Creato il 18 novembre 2014 da Albertomax @albertomassazza

gordon craig

Figlio dell’architetto e scenografo Edward Godwin, tra i principali esponenti dell’Eclettismo inglese, e di Ellen Terry, una delle più acclamate attrici vittoriane, Edward Gordon Craig (nome assunto ufficialmente a 21 anni) nacque a Stevenage nel 1872. Appena sedicenne entrò nella compagnia del leggendario Henry Irving, nella quale recitava la madre, ma dopo una decina d’anni decise di abbandonare la carriera d’attore per dedicarsi alla messa in scena e alla teoria, con l’obiettivo di riformare il teatro, strappandolo dalla deriva intrattenitiva e dalla tirannia del testo in cui era caduto nell’ottocento. Guadagnatosi una fama di radicale innovatore della scena già con le prime esperienze registiche in Inghilterra, nel 1904 venne invitato da Otto Brahm e Max Reinhardt a Berlino, dove ebbe mezzi e autonomia per mettere in pratica le sue idee.

Nella capitale tedesca conobbe la danzatrice Isadora Duncan, grande estimatrice della madre di Craig, con la quale instaurò un intenso sodalizio sentimentale e artistico. Grazie alla Duncan, Gordon Craig entrò in contatto con Eleonora Duse che, affascinata dalle idee dell’uomo di teatro inglese, lo invitò a Firenze per dirigere la messa in scena di Casa Rosmer di Ibsen al Teatro della Pergola. Entrambi erano mossi dalla volontà di riportare il teatro ad una dimensione sacrale, ma i punti di partenza erano opposti: la grande attrice italiana rimaneva ancorata al realismo e la sua idea di rinnovamento aveva come obiettivo principale la riflessione e la ricerca dell’essenzialità all’interno della tradizione più nobile; Gordon Craig, invece, mirava ad oltrepassare la concezione tradizionale del teatro ottocentesco, attraverso l’astrazione e il simbolismo della scenografia, la supremazia dell’azione scenica sulla parola e l’utilizzo delle luci non più limitato a supporto scenografico, ma come vero e proprio elemento drammatico.

Nonostante le numerose divergenze, abilmente mediate da Isadora Duncan, il risultato finale entusiasmò la Duse, tanto che si ripromise di dedicare la sua carriera alla diffusione dell’opera di Craig, convinta che solo il geniale regista inglese avrebbe potuto rappresentare la rinascita del teatro. Ma già dalla ripresa dello spettacolo a Nizza, stavolta senza la Duncan convalescente da una malattia, i due arrivarono ad uno scontro irrimediabile e il progetto di rivoluzionare la scena italiana sfumò. Gordon Craig, comunque, si trasferì a Firenze e si dedicò in particolare a divulgare le sue teorie, attraverso la fondazione di riviste specializzate (The mask e The marionette), la saggistica (On the art of the Theatre, 1911 e Towards a new theatre, 1913) ed aprendo, sempre nel 1913, una scuola d’arte teatrale all’Arena Goldoni di Firenze. Intanto, iniziò una collaborazione col Teatro d’Arte di Mosca, diretto da Stanislavskij, che costituì  probabilmente il punto più alto dell’attività di  pratica teatrale di Gordon Craig, con l’epocale studio sull’Amleto.

Nonostante le scarse realizzazioni durante la sua vita, conclusasi a Vence nel 1966, Gordon Craig influenzò profondamente la ricerca teatrale del novecento. La sua scenografia si basava sull’utilizzo di pannelli mobili (screens) che, nelle composizioni tra di loro e col gioco delle luci, creavano delle suggestioni capaci di coinvolgere gli spettatori, non distratti dal decorativismo naturalista, nel flusso delle emozioni e delle sensazioni che il regista intendeva trasmettere, creando i presupposti per una fruizione catartica collettiva dell’opera teatrale. Inoltre, introdusse e perfezionò l’utilizzo di palchi mobili, in modo da variare la spazio scenico in funzione delle esigenze della messa in scena. Per quanto riguarda il lavoro attoriale, Gordon Craig non svolse una ricerca particolarmente approfondita. La sua idea era che l’attore si dovesse liberare dai condizionamenti del testo letterario e dal narcisismo dell’estro, per fondersi, corpo e voce, nell’azione scenica (divino movimento), mettendosi completamente nelle mani del regista, considerato il vero autore dell’opera teatrale. L’attore così spersonalizzato venne chiamato Supermarionetta (Craig si interessò a lungo del teatro dei burattini), capace di unire l’assoluta indipendenza dalla logica e dalla impressione di realtà alla plasticità e spiritualità dell’essere umano.



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