Magazine Cinema
di Steven Soderbergh
con Mara Rooney, Jude Law, Channing Tatum, Catherine Zeta Jones
Usa 2013
genere, thriller
durata 106'
Appassionato di arti visive Steven Soderbergh è un deux ex machina in continuo movimento. Baciato da immediato successo con la palma d’oro al festival di Cannes per “Sex, lies and Videotape”(1989), Soderbergh non ha dormito sugli allori e da quel momento ha organizzato una catena di montaggio capace di abbracciare il cinema nella sua totalità, girando e producendo opere di ogni tipo e significato, capaci di spaziare dalle produzioni mainstream al cinema art house, con soluzioni cinematografiche largamente consolidate dalle regole del genere, oppure coraggiosamente esposte ai tentativi di una ricerca borderline. Smentendo continuamente se stesso Soderbergh è riuscito a rimanere quello di sempre grazie ad un camaleontismo che gli ha permesso di sembrare nuovo anche quando non lo era. In ogni caso a risultare decisivo non sono state le storie ne tanto meno gli attori, intercambiabili e quasi mai decisivi – la Julia Roberts di “Erin Brokovich” (2000) resta fin qui l’unica vera eccezione – ma piuttosto un formalismo estetico e visuale che ha nutrito ogni fotogramma dei suoi molti titoli. Una regola ferrea a cui non sfugge nemmeno “Effetti collaterali” ultimo fatica del regista newjorkese, arrivato a breve distanza dall’exploit commerciale di Magic Mike (2102) ed incentrato sul dramma di Emily Tailor (Rooney Mara) una giovane donna che commette un omicidio sotto effetto dell’antidepressivo ordinatogli da Jonathan Banks (Jude Law) lo psichiatra che l’aveva in cura. Se l’industria farmaceutica con i suoi sodali e le sue medicine finisce repentinamente sul banco degli imputati in un modo che sembra fare il verso ad “Insider” (1999)di Michael Mann per il tono da denuncia giornalistica, e con la chimica al posto del tabacco, “Effetti collaterali” ci mette poco a rivelare la sua natura, trasformandosi quasi subito in un thriller psicologico quando il dottor Banks, diventato nel frattempo il bersaglio numero uno di media e polizia, incomincia un indagine personale che gli farà fare inquietanti scoperte. Diretto "per caso" da Steven Soderbergh in sostituzione del suo naturale estensore, quel Scott Z. Burns, già sceneggiatore di “Contagion”(2010) ed in un primo momento intenzionato ad occuparsi personalmente della regia, “Effetti collaterali”conferma pregi e debolezze del suo autore, efficace quando riesce ad applicare le qualità dello sguardo alla solidità dei contenuti, un po’ meno quando è chiamato a fare tutto da solo, avvalendosi esclusivamente sulle capacità della sua tavolozza. Ecco allora le immagini sghembe e dalla cornice sfumata alla pari degli ambienti spesso sfocati a sottolineare lo stato confusionale e l’isolamento della protagonista; ecco la fotografia desaturata - della stesso Soderbergh - con la prevalenza di cromature dorate a ricreare il paradiso perduto alla quale Emily continua ad anelare nonostante i rovesci finanziari che hanno escluso lei ed il marito dalla jet society alla quale appartenevano Ed ancorala levigatezza degli attori dalle mise tanto perfette quanto i decor degli interni asettici anche quando si tratta di confrontarsi con la desolazione di una cella di prigione. Ingredienti affascinanti che però non si sposano allo sviluppo di una vicenda che forza la logica e piega i meccanismi di genere con sorprese e ribaltamenti di punti di vista mai credibili, soprattutto per quello che riguarda i due protagonisti, chiamati nella seconda parte ad alternarsi nel ruolo di vittima e carnefice. Se in altri casi aveva trovato il calore e robustezza dell'impianto narrativo in questo caso le pennellate di Soderbergh non riescano a scaldarsi e sembrano rimanere sulla soglia con compiaciuto distacco. Presentato senza clamore all'ultima berlinale "Effetti collaterali" rimane comunque un film di Steven Soderbergh dall'inizio alla fine. Bello da vedere ma oggi poco coinvolgente.
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