“Effetti Collaterali” è uno splendido film di Steven Soderbergh con Jude Law, Rooney Mara, Catherina Zeta Jones e Channing Tatum. Una storia di trama, ad incastri, con continui colpi di scena scritta da Scott Z. Burns.
Inizialmente, sembra una storia sull’abuso di farmaci antidepressivi negli Stati Uniti. Rooney Mara, Emily, infatti improvvisamente cerca di suicidarsi e viene messa in cura da uno psichiatra, interpretato da Jude Law. I due personaggi sono adorabili, perfetti. Lei fragile, dolce, che cerca di non essere di peso a nessuno e di gestire la propria situazione; lui, Jon, interpretato – appunto – da Law, attento, intelligente, appassionato.
Poi si iniziano a prescrivere medicinali. È quasi un obbligo, per ciascuno psichiatra negli Stati Uniti, farlo.
Hanno tutti effetti collaterali, se ne danno anche due o tre, perché devono agire assieme e contrastare i vari effetti indesiderati.
Gli psichiatri vengono pagati dalle case farmaceutiche perché avviino sperimentazioni sui loro pazienti. Lo spettatore dice “ah, ecco dove andiamo a parare”. Ma no.
Emily uccide il marito (non è spoiler) mentre è sonnambula a causa della medicina che non voleva smettere di prendere. È colpevole? È innocente? Il colpevole è lo psichiatra, Jon, che le ha dato antidepressivi con eccessiva leggerezza (notare: è britannico, quindi viene da un mondo in cui “questi farmaci sono dati perché sei malato, non per stare meglio”) e che quando lei ha accusato effetti collaterali non è tornato sui suoi passi?
A questo punto tutto il tono del film cambia. Gli psichiatri, visti sino a qui come persone umane, attente, persino figure genitoriali, diventano freddi, distanti, manipolatori, assenti, troppo occupati e poco seri.
Jon si trova in un vicolo cieco: se Ablixia, il medicinale incolpato, è un cattivo medicinale (che è stato consigliato a Jon da Victoria Siebert, la ex psichiatra di Emily, interpretata dalla Zeta-Jones), lui è un cattivo medico. Se è un buon farmaco, ed Emily colpevole, lui non ha saputo vedere che lei era una potenziale assassina. È un vicolo cieco.
Jon improvvisamente viene visto sotto una luce sinistra, incapace di occuparsi della moglie e di suo figlio, legato al denaro. Quindi – si dice lo spettatore – è un legal drama, parleremo del processo e di come Emiliy non sia responsabile dell’omicidio, ma lo sia il sistema farmaceutico e il medico ci andrà di mezzo.
Ma no. Terzo ribaltone.
Si scopre che si tratta di insider training e tutta la storia è stata una montatura per gonfiare il mercato del farmaco. Quindi è un film come quello con John Travolta e Denzel Washington, Pelham 123.
Ma no, affatto!
C’è un complotto – tutto è chiaro quando lo psichiatra si reca in ufficio da Emily – e Jon, il nostro eroe, ora vittima, lo scoprirà e cercherà di usarlo a suo tornaconto.
Intanto, il sistema continua a rivoltarsi contro i personaggi, come una forza cieca, Fortuna in senso mitologico e antico, Destino.
Fa impressione anche come la fiducia sia sempre riposta nella persona sbagliata: Martin (Tatum) si fida della moglie Emily, Jon si fida di Siebert. La moglie di Jon, D., non si fida invece del marito. La suocera di Emily confida in lei. Ti fidi di qualcuno? Ti tradirà. Lasci qualcuno da solo perché hai creduto a favole su di lui? Stai sbagliando.
Un film dai colori freddi, per lo più in toni tortora e verdi (acidi) con il regista lontano dai suoi attori, a guardarli dall’esterno, da lontano, lasciando che si arrangino e risolvano il pasticcio da sè. Ci sono tanti piccoli particolari (io ne ho notati due) che a fine film saranno rivisti e che sono rivelatori di ciò che veramente sta accadendo, per cui, anche se la pellicola dura cento minuti, fate guizzare gli occhi! E vi direte: ecco perché la Siebert ha raccontato la storia del paziente che mentiva.
Grandissimi i tre attori principali, in particolare la Zeta-Jones, che è disgustosamente crudele, manipolatrice e distante anche solo alla vista (con quelle ciglia inarcatissime e i capelli tirati in una crocchia, l’aria inspiegabilmente laida). E quindi la Mara, che interpreta una malata mentale, una sonnambula, una donna sotto effetto di droghe in modo convincente e per nulla forzato.
In ogni caso tutti i personaggi sono sfaccettati, intriganti, e ci si affeziona a loro. I dialoghi, poi, sono fantastici. L’ambiguità è ovunque, in primo luogo nei nostri eroi, Emily e Jon.
La sceneggiatura tocca come si è visto moltissimi temi, ma sono tutti accessibili e la storia è sempre realistica, nonostante il fatto che si continua a ribaltare la prospettiva, in una “double jeopardy”, come dice Law a un certo punto del film. Da vedere.
Written by Silvia Tozzi