Avevano vissuto insieme otto anni. Quasi tremila giorni insieme. Giorni e notti. Avevano condiviso momenti felici e fasi della vita un po' più scassate. Si erano ripromessi mille volte di andare in vacanza insieme. Anzi, la promessa l'aveva sempre stragiurata uno dei due. L'altro se la beveva come se fosse un bicchiere d'acqua: buttiamola giù, non fa male. E mille volte, quando si era trattato di partire, qualcosa s'era messo nel mezzo e aveva mandato tutto con le gambe all'aria. Le gambe. Insieme questi due amici, amici per la pelle, ne avevano sei. Due uno, quattro l'altro. Insomma, è un caso di comunissima amicizia fra un uomo e un cane, fra un padrone e il suo fedele amico. A ben guardare, pero', di tanto comune non c'era molto in questa amicizia. Perché passa un giorno che ne passa un altro, i due avevano sviluppato una forma di comunicazione quasi telepatica. Un'intesa complice basata su sguardi che dicevano tutto in un battere di ciglia oppure in gesti ormai codificati che esprimevano soprattutto ironia. Il cane, che attendeva il suo padrone a casa ogni giorno, capiva di che umore fosse ancora prima che finisse di salire le scale di casa, mettesse le chiavi nella serratura e entrasse. Lo capiva dai suoi passi. Lenti e pesanti significavano un umore schifoso, rapidi e quasi saltellanti comunicano spensieratezza e una serata allegra. Il cane sapeva come reagire a entrambi gli stati d'animo del padrone. Quando era triste escogitava il modo per farlo sorridere, quando era contento riusciva a strappargli una bella passeggiata notturna con tappa al bar dell'angolo dove di cani ne giravano pochi ma c'era sempre un bel po' di gente curiosa da guardare e studiare. Il cane sapeva che, a meno di un incidente o di una malattia, sarebbe morto di cause naturali, al fianco del suo padrone che, a meno di un incidente o di una malattia, gli sarebbe sopravissuto. Cosi' è la vita per i cani. E' piu' breve, ma piu' intensa di quella dei loro compagni umani. Eppure, dopo otto anni, il cane era stato mollato. Certo, otto anni sono molti nella vita di un cane, ma lui era ancora in gamba e avrebbe tirato avanti ancora un bel po' di tempo. Gli era presa pero' un'abitudine strana. Aveva iniziato a guardare la TV durante il giorno, e di sera, e a volte anche dopo che il suo padrone se n'era andato a letto, a notte fonda. Di quello che vedeva gli piaceva ben poco, per non dire nulla. Era un cane di mondo, qualcosa dalla vita aveva imparato, dai suoi simili e dagli umani, aveva ascoltato discussioni, confessioni, di tutto. Insomma, aveva un'innata capacità di giudizio, ma aveva imparato anche a giudicare basandosi sulle esperienze raccolte. Il padrone, all'inizio, non si era accorto di nulla, poi aveva cominciato a sospettare la donna delle pulizie quando si era reso conto che il telecomando del televisore non era quasi mai nel posto nel quale l'aveva lasciato la sera prima. La signora, che veniva in casa ogni settimana da quindici anni, aveva giurato sulla croce e sulla sua povera mamma che lei, mentre puliva, la televisione né la guardava né l'ascoltava. Un giorno, rientrando prima, con passi né tristi né allegri sulla scala, ma semplicemente silenziosi, lo aveva colto sul fatto: aveva trovato il cane davanti al televisore, intento a sorbirsi un programma. La sera, a modo loro, ne avevano parlato, si erano scambiati messaggi. Mancava, nel cane, la solita ironia. Si era insinuata in lui una strana pesantezza, che era andata peggiorando, trasformandosi in autentico malumore. Gli era passata anche la voglia di uscire, di seguire il suo padrone al bar. Era diventato intrattabile, di umore nero. La sua ironia era sparita, la capacità di interpretare gli umori del suo padrone spenta. Si era spaccato la testa, aveva trascorso notti insonni, aveva consultato amici veterinari e psicologi del comportamento animale, aveva cercato di capire, osservandolo, che cosa fosse successo al suo cane. Poi aveva capito. Una sera, vedendolo alzarsi dal divano e andarsene verso la coperta sulla quale normalmente dormiva, aveva percepito un segnale provenire dal cervello dell'animale. Aveva capito che il suo cane credeva a quanto gli raccontavano in TV. Credeva che quello, raccontato in quel modo, fosse il mondo. Credeva che quanto gli veniva mostrato e raccontato fosse quanto era accaduto nel mondo. Né piu' é meno. Credeva che i partecipanti ai quiz si divertissero davvero e che i conduttori fossero davvero divertenti, credeva ai film, alle telenovele, credeva alle storie raccontate dagli ospiti dei talk show. E credeva soprattutto che il mondo fosse (o fosse diventato) cosi' piatto e grigio, cosi' monotono e irrilevante, così ripetitivo e così poco interessante come glielo raccontavano i notiziari. Il cane si era, insomma, rassegnato all'idea che il mondo fosse, improvvisamente, diventato insignificante. E ne soffriva. Tanto da avere smarrito la voglia di divertirsi e di stare con il suo padrone. Padrone che, dopo innumerevoli tentativi di convincerlo che cosi' non era, che se le il mondo veniva mostrato cosi' non era colpa del mondo e di chi lo abitava, ma soltanto di chi lo mostrava e lo raccontava in questo modo e non aveva altra fantasia e altre parole per mostrarlo diversamente. Niente da fare. Il cane si era irrecuperabilmente incupito. Sembrava sotto l'effetto di un sedativo. Un tempo così arguto e indipendente nei giudizi, ora lo avresti paragonato a una pecore incollata al gregge. Dopo otto anni di vita in comune, il padrone prese una decisione, dolorosa ma anche liberatrice. Se ne ando' di casa, lasciando al cane il biglietto, scritto con grafia comprensibilmente tremula per la commozione e la tristezza, pubblicato qui sopra. Un semplice "io me la rido." Rivolto non al mondo, ma al modo con il quale gli esseri umani si ostinano a volerlo raccontare.
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Avevano vissuto insieme otto anni. Quasi tremila giorni insieme. Giorni e notti. Avevano condiviso momenti felici e fasi della vita un po' più scassate. Si erano ripromessi mille volte di andare in vacanza insieme. Anzi, la promessa l'aveva sempre stragiurata uno dei due. L'altro se la beveva come se fosse un bicchiere d'acqua: buttiamola giù, non fa male. E mille volte, quando si era trattato di partire, qualcosa s'era messo nel mezzo e aveva mandato tutto con le gambe all'aria. Le gambe. Insieme questi due amici, amici per la pelle, ne avevano sei. Due uno, quattro l'altro. Insomma, è un caso di comunissima amicizia fra un uomo e un cane, fra un padrone e il suo fedele amico. A ben guardare, pero', di tanto comune non c'era molto in questa amicizia. Perché passa un giorno che ne passa un altro, i due avevano sviluppato una forma di comunicazione quasi telepatica. Un'intesa complice basata su sguardi che dicevano tutto in un battere di ciglia oppure in gesti ormai codificati che esprimevano soprattutto ironia. Il cane, che attendeva il suo padrone a casa ogni giorno, capiva di che umore fosse ancora prima che finisse di salire le scale di casa, mettesse le chiavi nella serratura e entrasse. Lo capiva dai suoi passi. Lenti e pesanti significavano un umore schifoso, rapidi e quasi saltellanti comunicano spensieratezza e una serata allegra. Il cane sapeva come reagire a entrambi gli stati d'animo del padrone. Quando era triste escogitava il modo per farlo sorridere, quando era contento riusciva a strappargli una bella passeggiata notturna con tappa al bar dell'angolo dove di cani ne giravano pochi ma c'era sempre un bel po' di gente curiosa da guardare e studiare. Il cane sapeva che, a meno di un incidente o di una malattia, sarebbe morto di cause naturali, al fianco del suo padrone che, a meno di un incidente o di una malattia, gli sarebbe sopravissuto. Cosi' è la vita per i cani. E' piu' breve, ma piu' intensa di quella dei loro compagni umani. Eppure, dopo otto anni, il cane era stato mollato. Certo, otto anni sono molti nella vita di un cane, ma lui era ancora in gamba e avrebbe tirato avanti ancora un bel po' di tempo. Gli era presa pero' un'abitudine strana. Aveva iniziato a guardare la TV durante il giorno, e di sera, e a volte anche dopo che il suo padrone se n'era andato a letto, a notte fonda. Di quello che vedeva gli piaceva ben poco, per non dire nulla. Era un cane di mondo, qualcosa dalla vita aveva imparato, dai suoi simili e dagli umani, aveva ascoltato discussioni, confessioni, di tutto. Insomma, aveva un'innata capacità di giudizio, ma aveva imparato anche a giudicare basandosi sulle esperienze raccolte. Il padrone, all'inizio, non si era accorto di nulla, poi aveva cominciato a sospettare la donna delle pulizie quando si era reso conto che il telecomando del televisore non era quasi mai nel posto nel quale l'aveva lasciato la sera prima. La signora, che veniva in casa ogni settimana da quindici anni, aveva giurato sulla croce e sulla sua povera mamma che lei, mentre puliva, la televisione né la guardava né l'ascoltava. Un giorno, rientrando prima, con passi né tristi né allegri sulla scala, ma semplicemente silenziosi, lo aveva colto sul fatto: aveva trovato il cane davanti al televisore, intento a sorbirsi un programma. La sera, a modo loro, ne avevano parlato, si erano scambiati messaggi. Mancava, nel cane, la solita ironia. Si era insinuata in lui una strana pesantezza, che era andata peggiorando, trasformandosi in autentico malumore. Gli era passata anche la voglia di uscire, di seguire il suo padrone al bar. Era diventato intrattabile, di umore nero. La sua ironia era sparita, la capacità di interpretare gli umori del suo padrone spenta. Si era spaccato la testa, aveva trascorso notti insonni, aveva consultato amici veterinari e psicologi del comportamento animale, aveva cercato di capire, osservandolo, che cosa fosse successo al suo cane. Poi aveva capito. Una sera, vedendolo alzarsi dal divano e andarsene verso la coperta sulla quale normalmente dormiva, aveva percepito un segnale provenire dal cervello dell'animale. Aveva capito che il suo cane credeva a quanto gli raccontavano in TV. Credeva che quello, raccontato in quel modo, fosse il mondo. Credeva che quanto gli veniva mostrato e raccontato fosse quanto era accaduto nel mondo. Né piu' é meno. Credeva che i partecipanti ai quiz si divertissero davvero e che i conduttori fossero davvero divertenti, credeva ai film, alle telenovele, credeva alle storie raccontate dagli ospiti dei talk show. E credeva soprattutto che il mondo fosse (o fosse diventato) cosi' piatto e grigio, cosi' monotono e irrilevante, così ripetitivo e così poco interessante come glielo raccontavano i notiziari. Il cane si era, insomma, rassegnato all'idea che il mondo fosse, improvvisamente, diventato insignificante. E ne soffriva. Tanto da avere smarrito la voglia di divertirsi e di stare con il suo padrone. Padrone che, dopo innumerevoli tentativi di convincerlo che cosi' non era, che se le il mondo veniva mostrato cosi' non era colpa del mondo e di chi lo abitava, ma soltanto di chi lo mostrava e lo raccontava in questo modo e non aveva altra fantasia e altre parole per mostrarlo diversamente. Niente da fare. Il cane si era irrecuperabilmente incupito. Sembrava sotto l'effetto di un sedativo. Un tempo così arguto e indipendente nei giudizi, ora lo avresti paragonato a una pecore incollata al gregge. Dopo otto anni di vita in comune, il padrone prese una decisione, dolorosa ma anche liberatrice. Se ne ando' di casa, lasciando al cane il biglietto, scritto con grafia comprensibilmente tremula per la commozione e la tristezza, pubblicato qui sopra. Un semplice "io me la rido." Rivolto non al mondo, ma al modo con il quale gli esseri umani si ostinano a volerlo raccontare.
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