EFFETTO DOMINO - Rubrica di approfondimento tematico
Foto di Marco Landi
Recensione di Emanuela D’Alessio
«È un romanzo sugli sfaldamenti: della volontà, della realtà, dell’identità; il tutto sul perturbante adagio lynchiano secondo cui un mistero, per essere davvero tale, non può avere una soluzione», parola di Fabio Viola, il trentottenne autore di Sparire.Proseguiamo provando a elencare che cos’è questo romanzo, audace e inquieto, che lascia incerti e amareggiati, sospesi tra il sollievo di essere arrivati all’ultima pagina e il desiderio di leggerne ancora un’altra alla ricerca di una soluzione che non viene svelata.
Non c’è un finale, infatti, come non c’è una trama, non di quelle nette e chiare almeno, perché la narrazione cambia continuamente obiettivo, gioca con la realtà e il suo contrario, procede per sottrazione anziché accumulare elementi che diano senso e corpo ai personaggi, al contesto, alla storia, privilegia la non linearità delle azioni, ciò che le semplici parole non riescono a circoscrivere, l’assenza del classico meccanismo causa-effetto. Perché la letteratura può essere anche questo, assenza di denuncia, di interpretazione, di soluzioni consolatorie, solo un mezzo per raccontare il caos dell’esistenza, l’inquietudine e l’angoscia che derivano dall’impossibilità di capirla, il disagio di fronte al vuoto che siamo.
Sparire è una storia di sparizioni, dunque, come il titolo stesso preannuncia. A sparire per prima è Elisa, l’ex-fidanzata di Ennio che si è trasferita a Osaka per lavoro. Ennio, il protagonista e voce narrante, decide di andare a cercarla. Immaginiamo lo faccia per amore, che abbia un piano, uno scopo, ma lui è di quelli che in realtà non vogliono fare niente, a parte aspettare che succeda qualcosa, e il suo rapporto con Elisa non ha nulla a che vedere con l’amore, è un rapporto fondato sulla recita, «vivevamo con un senso di malinconia precoce, immobilizzati dalla futura assenza dell’altro e incapaci di muoverci e parlarne per scongiurarla – anche perché non lo volevamo davvero».
A sparire, dunque, sono i sentimenti, la volontà, l’azione, per lasciare spazio all’apatia, al torpore delle emozioni, a un vivere in un luogo reale solo nella sua fisicità, per le cose che si toccano, per il cibo che si ingoia, per i corpi che si vedono in movimento, ma senza ritenere credibile ciò che si dice e si ascolta. È questa infatti l’atmosfera in cui Ennio vaga a Osaka, una città surreale, piena di palazzi di vetro e costruzioni umili, ristoranti e insegne luminose, un vorticare di umanità anonima, barboni e uomini in completo grigio. Un luogo dove Ennio lentamente si immerge, si confonde fino a dissolversi, privilegiando il ricordo di sé, falsificando la realtà, cedendo alla frenetica ossessione di raccontare il contrario della verità, a sé stesso e a tutti coloro che incontra nel suo viaggio stralunato dove tutto scivola via, fino a sparire.
versione alternativa di copertina
Concetto interpretato e rappresentato nella bella copertina di Sparire realizzata da Maurizio Ceccato (IFIX studio) che la spiega così: «La zona di Osaka che ho disegnato si chiama Shin Sekai, che significa “nuovo mondo”. I segni che ho usato volevo fossero tutto colore: pennarelli, retino e qualche tocco di ecoline (accentuato col fotoritocco). La città senza presenze umane, con una prospettiva impossibile col freddo dei neon colorati, tutto accennato e non definito. Se pensiamo al significato della città di Osaka, «grande pendio», potremmo dire di scivolare dentro la città nuova e perderci in essa: sparire». Shin Sekai, ha raccontato Fabio Viola a Ceccato, «è una zona che è stata messa in piedi molti decenni fa come quartiere di ristoranti, locali, vita notturna. Però all’epoca fu un mezzo fallimento. Col tempo è stata rilanciata come una specie di reliquia di un fallimento urbanistico, ed è diventata una tappa fissa per chiunque visiti la città. C’è un’atmosfera da vecchia Osaka (ovviamente artefatta), locali molto veraci e turistici, e un oceano di neon».
Non è, dunque, il Giappone esotico e misterioso di tanta letteratura orientalista quello che incontriamo nelle pagine di Sparire, ma un luogo ambiguo, confuso, anche pericoloso che richiama le visioni di Abe Kōbō o il Giappone “dell’altro lato” di Kawabata, come suggerisce l’autore che in Giappone ha vissuto quattro anni e dove è tornato nel 2011 subito dopo lo tsunami.
Il cataclisma che ha devastato il paese, gettandolo nell’orrore e nell’emergenza nucleare, diventa un ennesimo pretesto per raccontare la dissoluzione della realtà, un viaggio onirico dove Ennio incontra il proprio vuoto, perdendo definitivamente la propria identità. Sembra questa la soluzione più eclatante per un romanzo che non ha alcuna ambizione di offrire soluzioni: è nel confronto con la vita reale che ci si perde, tentando così di ritrovarsi.
L’opera dello scrittore, diceva Proust, è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.
uno sketch della copertina
Nota sull’autore
Fabio Viola è nato a Roma nel 1975, havissuto in Giappone (a Osaka) per quattro anni. È laureato in Lingue e letterature straniere, non asiatiche ma scandinave. Ha partecipato alle antologie Sono come tu mi vuoi. Storie di lavori (Laterza, 2009), Voi siete qui (minimum fax, 2007) e Al di là del fegato (Coniglio, 2006). Insieme a Cristiano de Majo ha scritto Italia 2. Viaggio nel paese che abbiamo inventato (minimum fax, 2008). Ha esordito nel 2010 con Gli intervistatori (Ponte alle Grazie). Sparire è il suo secondo romanzo.
Per approfondire:
Leggi la recensione su doppio zero
Leggi la recensione su Il Giornale
Sparire di Fabio Viola
Marsilio, 2013
pp. 288, 17,50 €