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Egidio Montini: rivolta

Da Narcyso

Emidio Montini, PAROLA DI SCRIBA, L’Arcolaio 2011

Egidio Montini: rivolta
“Io compro, tu compri, egli compra. Noi ti fottiamo ogni giorno di piú, le parole da un lato e i fatti dall’altro. Solidali a proteggersi i componenti del branco, in nome d’una somiglianza ch’é piú minerale che umana. La perdizione é una cosa lenta, e per la razza ha nome Storia: un fiume di sangue, fra di loro alleate le fanfare e le zampogne”
p. 22

Questo il tono esacerbato e necessariamente polemico di questa prosa da scriba fuori tempo, redatta sopra la colonna dell’anacoreta; quindi alle porte della Storia, estranea alla logica della paura indotta: ” che Dio ci progetta dalla paura! Deve essere successo qualcosa in un qualche punto della Storia, per cui il semplice esistere si é mutato in angoscia. Il concetto infuso, inculcato, che solo il fare é fonte di bene. Il mercante ha creato lo iato e in esso si crogiola. Devono sparire lo stregone e il poeta. Un cialtrone il primo, un perditempo il secondo. Santa solo é la mano che maneggia le cose” p 33.
Eppure non siamo nell’alveo della poesia di protesta tout court; siamo, piú esattamente, nel progetto di rivendicazione di un ruolo sociale per il poeta e per la poesia – il poeta piú vicino a questo tema mi sembra, oggi, Bertoldo – partendo da una questione lasciata aperta dal Rimbaud della “Saison”, che Montini dimostra di conoscere bene, confermando che quell’opera non poteva che venire da una rottura con un contesto pericolosamente paragonabile ai nostri anni: ” quel che conta é imbastardirsi dentro, somigliare” p 34.
A parlare, qui, é uno scriba operaio, con gli ingranaggi della fabbrica nello sfondo e l’immaginario moderno, quindi, della massima alienazione subita. Si pensi, dunque, al fatto che, in Rimbaud la negazione del moderno coincide con la negazione della forza lavoro, dell’ingranaggio produttivo giustificato da stato e chiesa, tema che Montini riprende pervenendo a questa riflessione: “Il Sistema è il Bene, sognare Altro è il Male. Gli insegnamenti degli antichi, letteratura. In quanto a noi (il meglio che esista) siamo troppo indaffarati a lavorare per pensare a vivere. Lo faremo piú avanti, nei secoli, quando la lotta sará vinta. Quando i resti saranno scomparsi dalla faccia della terra, e saremo tutti ” assolutamente moderni” p 27.
Mentre Rimbaud risolve la questione con una spettacolare dipartita, Montini ci mostra il moderno come luogo dell’immodificabile, necessario, paradossalmente, per annunciare l’avvento illusorio delle cittá ideali, che egli grottescamente proclama ribaltando le visioni coloristiche delle “illumination”, ricontrollandole in visioni apocalittiche prossime future, se non addirittura giá avvenute:
“Cocaina e whisky, per una strage in piú nelle case o sulla strada. Quando il terrorismo sará sconfitto per sempre, insieme ad esso i dissidenti di ogni colore. Lo faremo quando la farsa sará finalmente la sola veritá, in ognuno incarnata e solare. Io vedo la desolata landa e i suoi pastori , e le mandrie al pascolo, in lotta per un filo d’erba. Pochi i pastori, miliardi i capi sparsi in territorio ostile. Le poche acque distanti, avare, spoglia la terra delle sue conifere: dei suoi picchi sacri. E ancora ci diranno: forza! Ché quasi ci siamo, Il Natale é vicino, vicina la Pasqua di Resurrezione!…” p 27/28
Nel “racconto” dei fatti di un’alienazione collettiva, illuminata solo dal gesto di rivolta della scrittura, la battaglia ridiventa pericolosamente fatto privato: ” la mia battaglia é con quel Dio che ha punito Adamo piú di Eva, del Serpente. Di quel Dio che premia il conformismo e oltraggia l’angelo ribelle. Siamo giunti all’ultima rada, io e Lui: ora sa che io so. Il marcio Albero della Conoscenza é il mio pane quotidiano, e dovró gustarlo fino in fondo prima di liberarmene” p 29
Montini sposta cosí il terreno sul piano della ontologia del deserto – di puro diamante sono i muri della cittá celeste, invalicabili, e le armate, fedeli e guerriere -. Ché, consumare fino in fondo i frutti dell’ albero della conoscenza vuol dire estirpare il male della colpa iniziale; togliere a questo Dio tiranno la diceria su cui é fondato tutto l’occidente, e cioé che l’avvento del Male abbia coinciso con un atto di ribellione. Piuttosto é forse corretta la soluzione a cui perviene l’Anatole France de “la rivolta degli angeli”, e cioé a una sostanziale rinuncia della lotta, perché ogni potere sostituisce un altro potere -. Forse l’unica arma é quella di una indifferenza teistica, con la diretta conseguenza di un’indifferenza storica e culturale – sraricamento mnemonico, dunque – che era, in fondo, la massima espressione della poetica della ribellione partendo dalle fondamenta dell’intero Occidente, del ragazzo di Charleville.
Sebastiano Aglieco


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