Egitto, giorni di sangue

Creato il 09 luglio 2013 da Webcla

In Egitto entro sei mesi si terranno elezioni parlamentari, ma solo una volta che emendamenti alla costituzione voluta dai Fratelli Musulmani, al momento sospesa, saranno stati approvati in un referendum da tenersi entro quattro mesi e mezzo. Lo stabilisce un decreto del presidente a interim Adly Mansur reso noto stasera.

Nel frattempo, non si ferma l'impennata di violenza che ha colpito l'Egitto. I Fratelli Musulmani hanno lanciato un appello a scendere in piazza oggi in tutto il paese per protestare per i 51 suoi sostenitori uccisi quando la polizia ha aperto il fuoco al Cairo. Ieri mattina la Fratellanza aveva chiamato alla rivolta popolare contro il colpo di stato che ha deposto Mohamed Morsi.

Il presidente ad interim Adli Mansur ha dal canto suo invitato le piazze alla calma, ma dall'università al Azhar, la massima carica musulmana sunnita del Paese, si è evocato il pericolo che un prolungato vuoto istituzionale possa contribuire a far degenerare gli episodi di sangue, gravi ma ancora circoscritti, in una "guerra civile" su più ampia scala. Contrastanti sono le versioni fornite dalle autorità del Cairo e dalla Fratellanza musulmana su quanto avvenuto stamani vicino alla sede della Guardia Repubblicana e nei pressi della moschea di Rabaa al Adawiya, dove da giorni sono riuniti i sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi, in stato di arresto in un luogo ancora non ufficialmente identificato. Il movimento islamico afferma che i suoi seguaci sono stati attaccati dai militari mentre si apprestavano a eseguire la preghiera dell'alba nel sit-in, simbolo della protesta contro quel che i Fratelli definiscono "un golpe militare".

Il bilancio ufficiale è di 51 morti, tra cui un ufficiale e due poliziotti. E di 453 feriti, tra cui 40 coscritti. Le forze armate affermano inoltre di aver arrestato circa 200 persone armate di bottiglie incendiarie, armi da taglio e da fuoco. La tv di Stato, allineata sulle posizioni dell'esercito, ha mostrato a lungo e a ripetizione, immagini di "seguaci della Fratellanza musulmana" con pistole e fucili automatici. Il presidente Adli Mansur ha ordinato l'apertura immediata di un'inchiesta sul massacro odierno. Ma il partito Giustizia e Libertà, dei Fratelli musulmani, ha invece chiesto alla "comunità internazionale" di intervenire "perché vengano fermati i massacri" e "perché si eviti che l'Egitto si trasformi in una nuova Siria", in riferimento alle violenze in corso da più di due anni nel Paese mediorentale.

Dopo il massacro di ieri, il partito Nur salafita, che a fine giugno aveva appoggiato la deposizione di Morsi, ha deciso di ritirarsi dalle consultazioni per la formazione del governo di unità nazionale. Sembra dunque tramontare l'ipotesi di creare un governo di larghe intese, anche perché il partito Nur si è opposto alla candidatura a premier sia di Muhammad al Baradei, esponente del Fronte di salvezza nazionale (piattaforma di laicisti, progressisti e nasseriani) sia dell'economista Ziad Baha ad Din.

Per il momento gli aiuti economici all'Egitto non sono in discussione. La Casa Bianca lo ha ribadito con forza, replicando così alle critiche di chi vorrebbe tagliare il flusso di 1,5 miliardi di dollari che ogni anno Washington versa nelle casse del Paese africano. "E' una situazione complessa, è difficile dire se in Egitto ci sia stato o meno un colpo di Stato", si giustifica il portavoce presidenziale, Jay Carney. Invitando l'esercito alla moderazione e ad evitare rappresaglie, arresti indiscriminati e il ricorso alla censura. Ma i dubbi del presidente Barack Obama crescono. Il dilemma è tra continuare a sostenere quella che dovrebbe essere una transizione guidata dall'esercito, scongiurando così che la situazione finisca in mano ai gruppi dell'islamismo più estremo, oppure accettare l'idea che ciò che sta succedendo in questi giorni in Egitto è un qualcosa che assomiglia proprio ad un golpe. Il rischio per il presidente degli Stati Uniti è quello di rimanere in un limbo, e di esporsi sempre più alle critiche di chi lo accusa di aver scelto una linea "eccessivamente passiva", dimostrando ancora una volta - puntano il dito in molti - la sua mancanza di leadership nell'ambito delle crisi internazionali, dalla Siria in giù.


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