Egitto-Israele-Libano: le nuove rotte dell'energia

Creato il 03 agosto 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe Dentice 

La questionedegli approvvigionamenti energetici è una problematica molto sentita nel VicinoOriente, che a differenza dei Paesi dell'area Golfo non dispone di grandirisorse naturali. Le scoperte di grandi giacimenti di idrocarburi nelMediterraneo e la crescita di importanza del gasdotto egiziano nel Nord Africae nel Levante arabo hanno modificato le rotte dell'energia, aprendo nuoviscenari nei rapporti di forza regionali. Gli attacchi di questi mesi all'ArabGas Pipeline nel Sinai e le controversie sui confini marittimi tra Israelee Libano hanno prodotto negli establishment politici regionali nuoveconsapevolezze e hanno delineato nuove strategie per la corsa agliapprovvigionamenti energetici. Ad oggi, questo triangolo che abbraccia la partepiù produttiva del Mashreq rischia di esplodere nuovamente per i problemilegati alle forniture energetiche e alle risorse naturali presenti sulterritorio. Il Cairo, Tel Aviv e Beirut hanno aperto una nuova “corsa all'oro”per lo sfruttamento di vasti giacimenti di gas naturali che garantirebbero nonsolo il fabbisogno nazionale ma permetterebbero ai singoli Paesi di divenireesportatori. Le potenzialità del gasdotto e della piattaforma nel MediterraneoOrientale potrebbero modificare i rapporti di forza esistenti e divenire nuovecause di conflitto nel Vicino Oriente.

Egitto-Israele

Tragitto dell'Arab Gas Pipeline (fonte Limes)

Il Sinai, una delle zone apparentemente fuori dal controllo egiziano a causa dei numerosi sequestricontro stranieri e degli episodi di violenza contro i simboli delleautorità centrali del Cairo, potrebbe diventare nel prossimo futuroun'importante piattaforma strategica per la politica energetica ed economica dell'Egitto.In questa regione desertica ricca di petrolio e di gas naturale, il governo ha deciso di farpassare un’importante infrastruttura: l’Arab Gas Pipeline, un gasdotto che si snoda a verso Nord conIsraele e verso Sud con il Golfo di Aqaba, per proseguire poi in direzionedella Giordania, Libano e Siria. Da qui, in prospettiva potrebbe arrivare finoin Turchia, con l'ambizione di rifornire addirittura il mercato europeo. Ha unacapacità massima di circa 10 miliardi di m³ l’anno. Grazie a questa importante infrastruttura lEgitto si è ritagliato un ruolo daprotagonista nell'area, divenendo uno dei maggiori produttori di gas naturaledell'Africa (secondo i dati del CIA World Factbook, il Paese producecirca 63 miliardi di m³ l’anno), secondo solo all’Algeria. Nell'ultimo decennio, ilcommercio di gas naturale e di gas naturale liquefatto (GNL), aumentatoall'incirca del 7% l'anno (dati del Ministero dell'Energia egiziano), hagarantito al Paese ampi sbocchi commerciali verso la UE, la Turchia e gli altriPaesi del Maghreb. A el-Arish, principale snodo del gasdotto nel Nord del Sinai, l’Arab Gas Pipeline si divide indue e si dirama verso Nord-Est verso la città di Ashkelon, in Israele. Tramite il “braccio” di el-Arish-Ashkelon,l’Egitto rifornisce di gas naturale Israele, in virtù di un accordo stipulatoqualche anno fa ed entrato in vigore nel 2008. Il 5 febbraio scorso e successivamente per altre quattro volte fino al30 luglio, il gasdotto è stato oggetto di attentati da parte disconosciuti nei pressi di el-Arish. Secondo alcune notizie di quotidiani arabistranieri, agenti di al-Qaeda, membri di Hamas e mercenari di Hezbollahsarebbero stati attivi nel Sinai, cosa che però il governatore del Sinai hasmentito con veemenza. Ad ogni modo, gli attentati hanno prodottoun'interruzione dell'approvvigionamento energetico israeliano, facendopaventare a Tel Aviv minacce di compensazioni economiche nei confronti delCairo per l'atto di sabotaggio subito. La joint-venture israelo-egizianasulla fornitura di gas risale al marzo del 2008, quando l’Egitto ha iniziato aesportare gas naturale ad Israele, secondo quanto previsto daun accordo firmato nel 2005 dalla israeliana Israel Electricity Corporation(IEC) con l’egiziana East Mediterranean Gas Company (EMG). L’accordoprevede che l’EMG rifornisca Israele ogni anno con 1,7 miliardi di metri cubidi gas naturale per 15 anni. Il contratto prevede, inoltre, la possibilità diaumentare la quantità di gas esportato del 25% e di aggiungere altri 5 anni ai15 previsti. Pur tra numerose proteste in Egitto di islamisti, secolaristi eanti-governativi, l'accordo è stato raggiunto e ha funzionato perfettamentefino agli incidenti di questi mesi. Infatti per Israele, sebbene il volume energetico dell'accordosia modesto, rappresenta comunque una importante risorsa di approvvigionamento.Attualmente, Israele è energicamente dipendente dall’Egitto che gli forniscecirca il 40% del consumo totale. Israele-Libano

Confinimarittimi contesi della riva Est del Mediterraneo.
In rosso la linea contestata(fonte swissinfo
)

La corsa agliapprovvigionamenti energetici da parte di Israele è una problematica moltosentita, ma la scoperta dei giacimenti di gas naturale Dalit, Tamar esoprattutto Leviathan, nel Nord del Paese, al largo di Haifa, potrebberivestire un ruolo fondamentale negli equilibri geopolitici e geostrategici regionali. La capacità dei nuovi giacimentidi ben tre volte superiori alle stime egiziane potrebbero modificare totalmentei rapporti di forza nella regione. Se le esplorazioni fatte dalla norvegese PGSe dalla statunitense Noble Energy confermassero le capacità stimate di 6,43miliardi di m³, ciò garantirebbe ad Israele un notevole grado diautosufficienza energetica tale da renderlo, addirittura, Paese esportatore. L’ubicazione del giacimento si trova a metàstrada tra le acque territoriali di Cipro, Libano e Israele, appunto. Adifferenza di Cipro, che ha raggiunto un accordo con le controparti perdelimitare le Zone Economiche Esclusive (ZEE) dei due Paesi e per stabilire,quindi, le possibili quote di gas, la questione con il Libano è molto piùcomplicata. Tanto le autorità libanesi, quanto le controparti israeliane hannodifeso le rispettive prerogative dei Paesi ad avere una politica energeticaindipendente, in quanto sia Tel Aviv, sia Beirut hanno poco interesse non soloall’eventualità di dover dividere gli introiti del giacimento, ma anche atrovare un accordo di compartecipazione per lo sfruttamento dello stesso. Al dilà della questione in merito alla proprietà del giacimento secondo il dirittointernazionale, per comprendere l'importanza economica e strategica del bacinolevantino è necessario analizzare le stime della banca UBS sui benefici al PILisraeliano: secondo l'istituto finanziario svizzero, l’impatto dell'estrazionee della vendita di idrocarburi liquidi, gassosi ed idrogenati potrebbe produrrenell’economia israeliana introiti pari allo 0,2% del PIL all’anno durante ildecennio 2011-2021, mentre saliranno allo 0,6% all’anno nel periodo 2022-2025.L’attivismo israeliano in materia energetica trova giustificazione neisabotaggi all'Arab Gas Pipeline che hanno interrotto il flusso di gasdall’Egitto e ha lasciato intravedere la costruzione di futuri gasdotti versol’Europa attraverso Cipro e la Grecia. Ma anche il Libano mira a risollevare lesorti della sua disastrata economia attraverso lo sfruttamento del bacino.  Risvoltiregionali della corsa energeticaLo scoppiodelle rivolte in Egitto, il tentativo di riconciliazione tra Hamas e Fatah egli attacchi in serie al gasdotto (ben 5 attentati dall'inizio dell'anno),hanno profondamente allarmato Tel Aviv che ha iniziato a rivedere non solo irapporti economici, ma anche quelli politici con l'ex alleato egiziano. Secondoi dati ufficiali del governo di Tel Aviv, si stima che fra dieci anni Israeleriescirà a generare il 20% della propria elettricità grazie al GNL egiziano,ma, allo stesso tempo, vuole evitare la dipendenza energeticadall'Egitto e non incorrere nel rischio di avere tagli alle forniture. Perquesti motivi, il governo israeliano ha dato avvio da tempo ad esplorazioni neifondali marini a nord di Haifa, dove potrebbero esserci delle ricche riservepetrolifere. Leimportazionidi gas dall’Egitto interessano sia il mondo arabo, sia Israele,ma il fatto che quest'ultimo possa avere nuove mire altrove rischia tanto diindebolire ulteriormente il Cairo, quanto di incorrere nel rischio di allargamentodello scontro, finora diplomatico, con Beirut in merito alla piattaformacontesa. Ad oggiIsraele gioca un ruolo principale nella contesa e nei possibili scenari futuri.Le ipotesi in merito sono almeno due. Al di là dello sfruttamento più o menoingente del gas egiziano, Tel Aviv 1) decide di concentrare tutte le suerisorse sulla piattaforma al largo di Haifa, dopo aver trovato un accordo conBeirut; oppure 2) entra in rotta di collisione con Beirut in merito allaquestione dello sfruttamento del bacino. Tanto nel primo caso, quanto nelsecondo, se vi sono forzeendogene all'Egitto che mirano a indebolirlo, soprattutto,nelle sue strutture economiche come l’Arab Gas Pipeline e, inparticolare, nella variante che guarda verso Ashkelon, questo elemento potrebbeessere in grado di avere ricadute anche sui rapporti dell’Egitto con l’esterno.In questo caso, il rischio di una possibile interruzione delle forniture di gasnaturale verso Israele potrebbe favorire, anche indirettamente, un accordo ouno scontro totale con il Libano. Ora rispetto al primo caso, Israele potrebbecontinuare a mantenere il contratto energetico con l'Egitto nonostante isabotaggi, ma subordinandolo di importanza all'obiettivo principale, ossia ilgrande giacimento “Leviathan”. Israele e Libano potrebbero unilateralmenteconsiderare l’area contestata come “zona cuscinetto” stabilendo che i reciprociinteressi economici sarebbero ben più rilevanti delle mere beghe ideologiche.Nel secondo caso, invece, Israele, entrando in rotta di collisione con ilLibano a causa della mancanza di un accordo sui confini, potrebbe sfruttarequesto episodio come nuovo casus belli per un ulteriore conflitto con ilvicino libanese per lo sfruttamento esclusivo del bacino levantino chegarantirebbe sia all'uno, sia all'altro un incremento massivo del rispettivoPIL nazionale. Il gas e il petrolio nelle acque antistanti la costa dei duePaesi potrebbe soddisfare le esigenze energetiche di entrambi per i prossimi trenta-quarant'anni,liberando i rispettivi Paesi dalla morsa energetica nei quali si trovano. Ladefinizione di un accordo non pare essere, però, cosa così scontata,innanzitutto, perché i due Paesi sono ancora in guerra, e in secondo luogo,perché sia Beirut sia Tel Aviv mirano ad uno sfruttamento esclusivo delgiacimento. Inoltre, il valore dei giacimenti offshore di Dalit, Tamar eLeviathan supera i 100 miliardi di dollari e la loro contesa a lungo andarepotrebbe generare quindi un nuovo confronto militare. In entrambi gli scenari,gli Stati Uniti inviterebbero le due parti alla moderazione, tentando la viadel negoziato, ma ciò sarà possibile solo se l'Iran, intervenuto in favore delLibano nelle ispezioni delle acque territoriali con tecnologie e personalespecializzato, fornirà un ruolo di moderatore o se ne asterrà nellacontroversia marittima. Le nuove rotte energetiche attribuiranno, quindi, unagiusta importanza al ruolo geo-strategico del Vicino Oriente e,conseguentemente, ai suoi rapporti di forza. Bisognerà però assisterenuovamente ad un rischio concreto di nuovi conflitti?* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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