Riceviamo e pubblichiamo un interessante contributo sulla questione egiziana redatto da Gianluca Solera
Ho fatto l’osservatore internazionale al primo turno delle elezioni egiziane per la camera dei deputati (Maglis as-Sha’b) nei distretti di Alessandria, o meglio il “testimone” (Witness), come specificava la mia tessera di identificazione. Fin qui, non è certo una notizia, ma la notizia sta nel divertimento che ha rappresentato per me scoprire che non vi è un solo modo di concepire la democrazia. Per un presunto democratico della sponda settentrionale, è inconcepibile immaginare un esercizio elettorale che non soddisfi esattamente le rigorose regole europee, ma più l’onda rivendicativa di libertà e dignità si allungherà sui paesi vicini, più ci dovremo abituare a ripensare noi stessi.
Tutto è cominciato la notte di domenica 27 novembre, quando pur di avere la tessera di osservatore a nome della Rete delle elezioni nel mondo arabo (Shabaka al-Intikhbāt lil-´Ālam al-‘Araby) in tempo, visto che le autorità l’avevano emessa solamente il giorno prima, ho dovuto aspettare l’autista di un pulmino che per pochi spiccioli ha messo sul cruscotto la busta indirizzata a me e, mentre faceva servizio di trasporto passeggeri da Cairo ad Alessandria, si è presentato all’angolo del boulevard sotto casa mia alle tre di lunedì mattina. Fa un certo effetto scendere in strada in tuta da riposo a quell’ora, in nome della democrazia. Avevo espresso il desiderio di osservare le elezioni per capire dall’interno questo mondo in trasformazione, fatto di pezzi vecchi, nuovi e spuri. È vero, il mondo degli attivisti di piazza Tahrīr ha poco a che fare con la macchina elettorale. Ero passato a Tahrīr il sabato precedente, ed ho incontrato un Campo dei Miracoli che vuole continuare a farli, ma i cui nemici crescono di giorno in giorno. E come tutti i “campi dei miracoli”, ho trovato un uomo sguercio (a cui la polizia aveva sparato in un occhio per accecarlo), un ragazzo storpio, zoppicante per le ferite subite durante i recenti scontri di via Mustafā Mahmūd, molti con testa o braccia bendate. Ho visto striscioni con foto colorate di martiri e corrotti, raffigurati come fossero i protagonisti di un film in prima visione al cinema centrale (ma gli attori qui muoiono o rubano per davvero). Ho visto artisti di strada dipingere e fotografare, riuniti nella Lega degli Artisti della Rivoluzione, che non hanno più una sede fisica perché hanno finito i fondi, e tengono le loro opere in borsoni, sperando che l’angolo di marciapiede su cui hanno stabilito il loro atelier non venga loro sottratto troppo presto; e non mancavano naturalmente le tende, con i suoi ospedali e cucine da campo, né i venditori di viveri e i caffé ambulanti, con tanto di sedie di plastica en plein air. La macchina elettorale si è messa in marcia nonostante i gas lacrimogeni ed i morti, e forse è giusto così, ma naturalmente non hanno vinto le elezioni quei ragazzi, perché erano troppo presi a difendersi dalle Forze di Sicurezza, a esercitare il diritto a manifestare e a immaginare che un governo rivoluzionario segua ad un moto rivoluzionario. Uno di loro, Ahmed, meno di vent’anni, era venuto da al-Minyā e dormiva con una coperta sul marciapiede; da dieci giorni stava al Cairo ed avendo finito i soldi campava del rancio offerto dai ragazzi di Tahrīr. Era stanco. Stanchi, ma ottimisti, questi ragazzi. Anche questo è uno dei miracoli di questo Campo. Come si fa ad essere ottimisti quando sfidi le Forze Armate e chiedi loro di farsi da parte per cambiare radicalmente il paese? Eppure lo sono, forse perché per loro la vita non conta più del destino del loro paese. In Europa, se uno dice questo, viene preso per squilibrato o poco furbo.
Dunque le elezioni sono state corrette? Sicuramente pulite rispetto al passato – “Le prime elezioni pulite dell’Egitto moderno”, mi avevano risposto diverse persone che ho incontrato durante le elezioni. Nei seggi che ho visitato, in un totale di nove stazioni elettorali ad Alessandria, non ho assistito a compravendita di voti. Molta devozione da parte degli scrutatori e dei giudici ai seggi. File lunghissime per una giornata storica di partecipazione ad un esercizio nuovo. Nessun incidente di rilievo da rilevare. Pubblicità elettorale all’interno dei seggi praticamente assente. Se fossi stato in campagna, forse, sarebbe stato un poco diverso, ma in fin dei conti anche queste elezioni sono state un Campo dei Miracoli. E come tutti i “campi dei miracoli” ho trovato venditori di promesse (le pattuglie di propaganda elettorale che presidiavano le entrate delle stazioni elettorali), giudici presidenti di seggio che non conoscevano la legge (“La propaganda fuori dai seggi è legale!” – mi spiegava uno di loro), elettori che hanno adottato la parete di un ufficio pubblico che ospitava i seggi per liberarsi dell’inchiostro in cui intingevano il mignolo a fine votazione (un vero e proprio graffiti post-moderno, con ditate creative, un simbolo dell’ordine disordinato di queste elezioni), simboli elettorali incredibili (ve ne farò un elenco poco sotto), e operazioni di spoglio dei voti in un clima da lotteria di fine d’anno, con duemila persone nell’intento di concentrarsi tra l’andirivieni ed il vocio circostante (lo spoglio non avveniva nei seggi; le urne di una stessa circoscrizione venivano raccolte in un unico centro, insieme al personale di seggio ed alle forze di sicurezza).
Che i partiti di ispirazione islamica si siano affermati nettamente non deve sorprendere nessuno, solo i disattenti possono pretendere di stracciarsi le vesti o di gridare ancora al Nemico Infedele che bussa alle porte. Innanzitutto è assolutamente normale che delle forze politiche si organizzino attorno a dei valori religiosi quale fonte di ispirazione dell’organizzazione sociale e politica di una comunità. Anche noi europei abbiamo avuto partiti nazional-cristiani, cristiano-sociali o democristiani nella storia recente che ha seguito le dittature del secolo scorso, e molti di questi partiti esistono tuttora, e rivendicano un ruolo importante nella vita politica. Non dimentichiamo inoltre che nelle società musulmane l’attaccamento ai valori ed alle tradizioni religiose è estremamente forte, e questo purtroppo non lo comprendiamo, né lo accettiamo in Occidente. Nel settembre del 2010, la Fondazione Anna Lindh aveva pubblicato un rapporto sulle tendenze interculturali nella regione euro-mediterranea. Al centro di questo rapporto stava un sondaggio effettuato in tredici paesi della regione; una delle domande era: “Crede che vi sia una verità assoluta?”. Se la maggioranza dei partecipanti al sondaggio in Europa rispondeva di no (gli svedesi all’84% e i greci all’81%), la maggioranza nei paesi arabi rispondeva di sì (i marocchini all’88% e gli egiziani al 71%). La questione fondamentale è un’altra: chi ha la legittimità di rappresentare il processo rivoluzionario? Chi è detentore di legittimità nei confronti del popolo: chi ha rischiato la vita e si è riversato in strada per chiedere la caduta del regime, pagando con il martirio, o chi ha vinto le elezioni? Credo che in questo senso dobbiamo dire che se le elezioni non tutelano la realizzazione delle rivendicazioni del movimento popolare che ha fatto cadere il regime, e ha permesso di indire queste elezioni, anche se fossero le più corrette e pulite del mondo, non potranno i suoi vincitori parlare in nome della rivoluzione. Per questo i due ”campi dei miracoli” devono avere un intento comune, perché se questo non avverrà, il paese indietreggerà di nuovo, e con esso lo spirito di rinnovamento che ha investito il Mediterraneo ed altri paesi europei. “Non vogliamo che una dittatura si sostituisca ad un’altra” – mi ha detto Walīd, un osservatore tunisino a nome della stessa organizzazione a cui ero affiliato, il 5 e 6 dicembre scorsi, durante il ballottaggio per l’assegnazione dei collegi uninominali in cui nessun candidato aveva ottenuto il 50% più uno dei voti la settimana precedente. Walīd non aveva ancora letto i risultati finali del primo turno di queste elezioni, che impegneranno i cittadini egiziani nei prossimi tre mesi : Hizb al-Hurriya wa al ‘Adāla (partito della libertà e della giustizia, il partito dei Fratelli Musulmani) e Hizb an-Nūr (partito della luce, un partito salafista) prendono ad Alessandria i due terzi dei voti, perfettamente in media con i risultati nazionali: 66,2%. D’altronde, perché sorprendersi quando il 36,9% degli egiziani non conosceva altra corrente politica che quella dei Fratelli Musulmani la settimana precedente le elezioni, il 7% che quella dei salafiti, e il 39,9% non conosceva ancora il sistema elettorale, composto di liste chiuse di partito (sistema proporzionale) e di candidature individuali (sistema uninominale), secondo un’inchiesta effettuata dal Centro nazionale di indagine sociale e criminale in ventisei province egiziane? Forse, anche per questo, e sicuramente per l’analfabetismo tuttora diffuso nel paese, i candidati individuali affiancavano al proprio nome un simbolo. Ce n’erano così tanti, più di cento, che se vi faccio la lista vi farà pensare a quanto trovereste in un centro commerciale: un pescecane, un bastone da passeggio, un’ostrica aperta con tanto di perla, una sveglia da comodino, un fucile da caccia, un cactus, una racchetta da ping-pong, ed una evidentemente da tennis, un cellulare portatile, un elicottero, un pallone da basket, uno da calcio, ed una rete (ma mancava il portiere), un ventaglio, un cd senza diciture, ed una cassetta da musica, uno spazzolino da denti, una bottiglia d’acqua in plastica, una forchetta, ma anche un cucchiaio, un girasole, un ombrello, una abat-jour, un ventilatore. Così, quando andavi a votare, se non avevi le idee chiare o non sapevi leggere, potevi scegliere l’oggetto dei tuoi desideri.
Ma occupamioci di loro, degli egiziani che ho incontrato. Do’ā’ faceva l’osservatrice con la fondazione an-Naqīb per la formazione e il sostegno della democrazia, che ne aveva dislocati ben tredicimila in tutto l’Egitto. Stava in una stazione elettorale di un quartiere popolare di al-Muntaza, nella scuola al-Muhammadiya al-Ibtidāiya. Portava il velo, ma non poteva vedere gli islamici, per questo faceva l’osservatrice e sperava che tutte le donne votassero contro Hizb an-Nūr e Hizb al-Hurriya wa al ‘Adāla. Quando chiudono i seggi e sigillano le urne con la cera, esco dalla scuola dopo poco e mi fermo a prendere un thé con il mio collega Ayman. Un gruppo di ragazzi simpatizzanti per i Fratelli Musulmani sono incuriositi dal vedere un osservatore internazionale in quel quartiere, e mi chiedono di rilasciare un’intervista per la loro rete Internet, Mantaqaty al-Ān. Quando parlo degli eccessi nella propaganda elettorale mi ascoltano con attenzione. Credo che neppure loro sapessero che in un altro paese fare campagna massiccia il giorno delle elezioni sarebbe illegale; ed Hizb al-Hurriya wa al ‘Adāla è stato certamente il più organizzato, con gazebo montati alle porte di ogni stazione elettorale, impermeabili e berretti gialli per i suoi attivisti, e grandi manifesti. D’altronde, a questo proposito, ho ricevuto le risposte le più disparate: a parte il giudice che nella stazione elettorale di al-Gabarty mi disse che era perfettamente legale fare propaganda fuori dai seggi (ma chi l’ha nominato?), un rappresentante di Hizb an-Nūr sosteneva che fosse legale ad almeno 10 metri dall’ingresso della stazione elettorale, un osservatore locale che fosse ammesso fuori dai seggi, ma non proprio davanti agli ingressi, il coordinatore egiziano dell’organizzazione per cui facevo l’osservatore che fosse totalmente illegale a partire da 24 ore prima del voto, ed un osservatore della fondazione an-Naqīb che lo fosse a partire dalle 48 ore.
Ma I personaggi più curiosi li ho incontrati allo spoglio, in un immenso spazio largo almeno 100 per 150 metri, all’interno del Victoria College, protetto da militari e poliziotti, dove confluivano tutte le urne della circoscrizione di al-Muntaza, all’estremità orientale di Alessandria. Non ho mai visto nulla di simile: centinaia di persone, forse più di duemila, caos puro, ordine disordinato dove gli scrutatori si siedevano attorno a lunghi tavoli per contare le schede delle loro quattro urne, e dove alle due della mattina vi erano ancora dei camion che portavano delle urne (i seggi avevano chiuso alle sette di sera). Erano tutti degli insegnanti gli scrutatori, e questa è stata una decisione molto saggia, ma non vi era servizio ristorazione, né caffé, ed uno di loro dormiva con la testa sul banco nell’attesa delle proprie urne. Il tavolo che seguivo era presieduto da un poeta, ‘Othmān: “Niente paura, siamo pieni di energie, tireremo fino a domattina”. Io alle 2.30 del mattino ho ceduto e sono andato a casa… Sicuramente l’aria fibrillava, e gli spiriti erano alti. Sherīf, un giovane istruttore subacqueo e rappresentante dei Fratelli Musulmani, mi prende da parte per conversare a lungo. Poi tira fuori carta e penna e mi disegna il futuro dell’Egitto in un grafico da andamento delle quotazioni in borsa: dopo la decadenza dell’era Mubarak e la difficile transizione post-rivoluzionaria, con un governo di forze islamiche l’Egitto verrà isolato e la sua decadenza accelererà per lo scontro inevitabile con l’Occidente, ma alla fine risalirà la china con velocità straordinaria, quando l’Islam prevarrà nel mondo. Deve saperne sicuramente di più, lui che si è immerso fino a cinquanta metri di profondità. Alla mia domanda-tranello: “La soluzione è la democrazia o l’Islam?”, risponde saggiamente: “L’alternativa non è tra democrazia o Islam, perché il vero Islam è democratico”.
L’Egitto è certamente cambiato, e se quello che noi vicini vogliamo è la stabilità, dovremo aspettare ancora a lungo, come ha rilevato Sherīf. Certamente dovremo capire di più e uscire dai nostri schemi ideologici. Gli egiziani lo fanno già. Al ballottaggio del 5 e 6 dicembre, quando in un collegio c’era da scegliere tra un candidato dei Fratelli Musulmani ed uno dei Salafiti, oppure tra uno dei Fratelli Musulmani ed uno dei Fulūl an-Nidhām (esponenti del regime precedente; le Forze Armate hanno infatti permesso ad ex-membri dell’Hizb al-Watany, il partito di Mubarak, di candidarsi), i giovani di idee liberali votavano in massa per i Fratelli Musulmani, dopo che le formazioni laiche che si ispiravano ai giorni di gennaio non hanno sfondato. La rivoluzione egiziana non è finita, forse è solo iniziata, ed il ruolo di guardiani della rivoluzione che i suoi giovani giocano comincia ad entrare nella sua fase più difficile. Il tempo dei miracoli continua.
Gianluca Solera