Credo di averlo già detto: mi capita di andare al lavoro col basso in spalla.
Non per sport, intendiamoci: è solo per una questione di tempi. Perché se esco tardi dall’ufficio, di tempo per tornare a casa ed equipaggiarmi prima di andare in orchestra proprio non ce n’è.
Quindi, meglio portarsi appresso lo strumento fin dal primo pomeriggio.
[Anche perché di lasciarlo in macchina solo soletto, con la gente che gira, proprio non se ne parla].
Dicevo: mi capita di andare al lavoro col basso in spalla.
Anche oggi è capitato.
Scendo dalla macchina e mi avvio carica come un mulo: su una spalla il pargolo, sull’altra spalla la mia borsetta da passeggio (peso stimato della sola borsetta: circa 50 kg).
Il tempo di fare due passi e sento una voce provenire da dietro, dice una frase della quale colgo una sola parola: «chitarra».
Mi giro e vedo due attempati signori di circa 80 anni (la mia specialità, l’uomo agé).
Entrambi sorridono, mentre li apostrofo con un: «Eh?» degno della peggiore parlata dialettale. Vorrei seppellirmi seduta stante.
Quello con gli occhiali riformula la domanda, cercando di dare il giusto tono scherzoso: «Scusi, ha preso la mia chitarra, per caso?».
Risposta (mia) obbligata: «Si sbaglia: non è una chitarra…».
Lascio passare cinque secondi di suspense in totale silenzio, giusto per darmi un tono, e proseguo: «… è un basso». «Ma è quasi uguale» mi affretto ad aggiungere, visto che il signore con gli occhiali non raccoglie e mi guarda con sguardo smarrito. Con ogni probabilità non sa neppure cosa sia un basso.
Signore con gli occhiali: «Brava, brava… allora suona, eh? Ma cos’è, lo fa di professione?»
Scribacchina: «Magari… No, suono per diletto».
I miei incontri casuali sembrano fatti con lo stampino: c’è sempre qualcuno che scambia il mio basso per una chitarra.
Ma non solo.
Come da copione, il signore mi racconta che anche lui suonava da giovane, ma ormai ha lasciato perdere perché «non ho più l’età».
Cerco di stemperare l’amarezza con un «Ma no, non deve dire così… non è mai troppo tardi per suonare».
Sto per aggiungere un: «Guardi me, per esempio, alla mia età continuo a…» ma mi fermo in tempo. Perché il signore poi avrebbe detto: «Ma no, lei è ancora così giovane!». Sarà che sto veleggiando in maniera inarrestabile verso gli anta, ma insomma, un po’ mi sono stancata di sentirmi dire che sembro una teenager.
L’incontro casuale si chiude con la frase che ho sentito e che – ne sono sicura – sentirò ancora tante volte:
«Continui così, brava, non smetta di suonare. Non bisogna mai smettere, mai».
Qualcuno potrebbe trovarla noiosa.
Io invece la trovo straordinaria. Perché se la senti una volta, non ci fai troppo caso; se la senti due volte, ti chiedi dove l’hai già sentita. Ma se te la senti dire tante volte, da tante bocche diverse, con un viso e degli occhi sorridenti, allora puoi pure concederti il lusso di pensare che lì fuori c’è un intero mondo che ti sostiene, che ti spinge a continuare nonostante le difficoltà, nonostante le delusioni e gli scoraggiamenti.
È un abbraccio genuino, un abbraccio che non ha secondi fini.
Ed è bellissimo.