Spagna, 2008
93 minuti
Un'abbacinante rappresentazione del lento cammino dei Re Magi alla ricerca del neonato Gesù; affaticati e disorientati nello vagare senza una guida tra immense distese monocromatiche, riusciranno comunque a raggiungere la loro meta...
Avrebbero dovuto presenziare il giorno dell'epifania, e invece arrivano con una settimana di ritardo. Ma bisogna pur comprenderli, perchè i Re Magi di Serra hanno i loro tempi, e come tutti i personaggi del regista catalano, sono figure perse nell'inazione e nel disorientamento. Li osserviamo in questo stato flemmatico fin dall'inizio, mentre contemplano e incedono attraverso uno spazio silenzioso e talmente sconfinato da sembrare cosmografico (le distese sabbiose; i fiumi; le grotte; le piante; il cielo; l'universo stesso). Se poi li osserviamo mentre riemergono da quell'orizzonte che scinde buio e luce, appaiono oltremodo come presenze che hanno addirittura trasceso l'immaginario popolare per divenire astronauti intenti ad esplorare un paesaggio selenitico. E se dovessimo prendere atto, oltretutto, dell'ammirazione che il catalano ha sempre avuto per il cinema di Pier Paolo Pasolini (1), allora potremmo anche ricondurre il vagare dei Re Magi a quello del Pierre Clementi di Porcile (1969), disperso anch'egli in un simile scenario surreale composto da crateri vulcanici. D'altronde, basti pensare all'Islanda (uno dei luoghi scelti da Serra per girare il film, tramite una curiosa ricerca con Google Earth), che nella sua conformità astratta, lunaria, quasi spirituale direi, è il fondale perfetto per sequenze come quella sopracitata e per la rappresentazione del cammino irresoluto di questi Re Magi, che non trovando nessuna stella che possa guidarli (appare a loro solamente un angelo che gli informa della nascita del Messia), si trascinano stancamente e alla cieca (stupenda l'osservazione del cielo durante la notte), in un tempo che Serra dilata fino all'estremo (e rivedendo El Cant dels Ocells occorre ripensare all'ultima fatica del regista, in quanto Historia de la meva Mort - Pardo d'oro all'ultimo Festival di Locarno - non soverchia poi di molto, nemmeno in termini di estensione spazio/temporale, quanto Serra ci ha già mostrato finora), come lo spazio rappresentato, costringendo inoltre lo spettatore a un'autentica prova dell'occhio; la scomparsa e successiva ricomparsa oltre il confine del visibile, dei tre uomini, sagome deleuziane miniaturizzate e smaterializzate in un affresco argenteo (2).
(1) "Ho nostalgia di tali eccessi pasoliniani, del suo tentativo di mettere in scena qualcosa di completamente folle, di fregarsene delle scene imperfette… Ho nostalgia di questa libertà che oggi è venuta meno per assecondare degli standard tecnici, per avere un film rifinito, curato, perfetto."
(2) "Abbiamo fatto molti test, con videocamere diverse e alla fine ho trovato questa immagine che mi sembrava interessante perché dà un’ambiguità particolare... ho ricercato una resa dell’immagine, che donasse una sensazione di antichità ai paesaggi."
(3) "È un canto folkloristico catalano molto conosciuto. Si chiama Il canto degli uccelli e parla per l’appunto della nascita del Signore; per il film ho utilizzato una versione strumentale. L’interpretazione è di Paul Casals, un famoso violoncellista. La colonna sonora è stata scelta prima dell’inizio delle riprese, infatti dà il titolo al film."
Albert Serra, Festival di Cannes 2008