[Di Fabrizio Lorusso – Huffington Post] Sul letto di uno dei covi del narcotrafficante Joaquín El Chapo Guzmán Loera, capo del cartello di Sinaloa arrestato lo scorso 8 gennaio dai marines messicani, è stata ritrovata anche una copia dell’edizione americana del tuo libro Zero zero zero. Che significa secondo te? Cosa leggono i boss? Perché?
El Chapo, come tanti messicani di potere, conosce l’inglese, ma quando poi deve raccontare del suo potere usa la lingua in cui si sente più comodo. E’ una cosa molto latina, anche italiana. I boss in realtà leggono da sempre. Per esempio c’era Gomorra nei bunker di Zagaria e di Barbato. Insomma credo che nelle carceri napoletane sia il libro più richiesto in prestito. Alla fine i boss leggono perché approfondiscono, adorano leggere le storie che riguardano loro stessi, i loro temi e i loro business. Anche per migliorare, per capire cosa si dice, per deridere in alcuni casi le cattive interpretazioni, per farsi avanti e capire dove sta andando l’analisi. Oggi la maggior parte dei boss latitanti passa la vita sul web a cercare notizie su di sé, a capire come funziona la comunicazione. Stiamo parlando di persone ormai colte e spesso più intelligenti di chi ha il compito di attaccarli.
Che idea ti sei fatto sulla vicenda Kate del Castillo-Sean Penn?
Non è ancora del tutto chiara, bisogna capire bene. L’opinione che ho, semplicemente, è che su Kate del Castillo non sappiamo ancora bene quale sia il rapporto. Diciamo che se sono veri gli scambi con l’avvocato di Guzmán, sono terribili, parlerebbero proprio di una complicità totale. Se invece sono artati, allora non ho idea. Allo stesso tempo Sean Penn è del tutto inadeguato a questa intervista, non perché l’ha fatta, ma perché non s’è preparato, non si è formato. E’ andato lì a diventare megafono. Tu, o conosci benissimo la storia o ti devi sottrarre a essere interlocutore. E’ come andare impreparati a incontrare, che ne so, Al Baghdadi… A quel punto non sai nulla, non puoi ribattere, non puoi nulla, puoi soltanto ascoltare. Quindi diventi ufficio stampa e semmai hai un po’ di visibilità tu per la curiosità dell’incontro, ma quello diventa una selfie, non un’intervista.
In particolare sulla parte del racconto in cui Penn spiega come hanno passato un blocco dell’esercito messicano con alla guida Alfredo, figlio di Guzmán.
Non credo sia una novità. Ormai è chiaro che un pezzo d’esercito, soprattutto all’interno dello stato del Sinaloa, è pagato dalla famiglia Guzmán. Di questo non c’è da stupirsi.
Cosa voleva comunicare El Chapo?
Vuole comunicare che è ancora lui il capo, ma non lo è più o quantomeno è in crisi. Cioè si sta svuotando. E quindi del resto il cambio di comunicazione che lui ha costruito, cioè dichiarare di essere un “narcos”, beh ha qualcosa di epocale. Pablo Escobar dichiarava di essere imprenditore, uguale John Gotti, tutti i capi sino alla sfacciataggine. Eppure El Chapo l’ha fatto.
Perché il boss voleva fare un film?
Si potrebbe dire banalmente per narcisismo. In realtà nei film i boss possono far drenare un po’ di complessità. Dici, ma sono così intellettuali da voler questo? Sì, cioè non vogliono far passare l’unica dimensione terribile in cui finisce il capo nelle cronache dei giornali. Non vogliono l’altrettanto terribile apologia che gli fanno coloro che li temono o chi li adora in cambio di soldi. Quindi c’è il piacere, insomma, di vedere raccontato se stesso. Sicuramente c’è l’obiettivo epico. Magari avrà visto la serie Narcos, si sarà resi conto che è molto al di sotto del racconto della verità e poi è il passato remoto del narcotraffico. Sai, in narcos manca completamente il racconto della corruzione politica e poliziesca, cioè è tutto schiacciato su una postura, anche se è girato molto bene.
Rappresenta una “burla” per lo stato messicano? Guzmán ha sbagliato?
Sì, non so se è proprio una burla, ma posso dire che El Chapo ha sbagliato tutto, e sta sbagliando da tempo. Sbaglia completamente nel suo modo nuovo di essere al centro dell’attenzione. Anche un’evasione che in quanto tale non poteva non attirare una grande attenzione mediatica, anche se in passato boss brasiliani, peruviani o messicani sono evasi con meno rumore, ma nel suo caso era diventato troppo famoso. E invece di cercare di silenziare la cosa, operazione tra l’altro non facile, ha cavalcato la situazione e questa è stata la sua condanna.
Dopo la terza cattura Peña Nieto ha parlato di una “Missione Compiuta”, mentre i critici parlano di una “Finzione Compiuta”, alludendo ai tanti montaggi mediatici della storia recente. Che opinione ti sei fatto al riguardo?
Beh, Peña Nieto è un presidente inadeguato. Ha cavalcato l’arresto del Chapo come avrebbe fatto, diciamo, qualsiasi capo di governo e sta nascondendo da troppo tempo i drammi che stanno accadendo in Messico, dalla notte di Iguala all’assassinio della sindachessa Gisela Mota.
Può esistere un timing per le catture in base, anche ma non solo, alla congiuntura politica?
Secondo me il timing può esistere. Cioè Peña dopo l’assassinio della sindachessa ha intuito che, dopo che la notizia era emersa, bisognava accelerare la cattura. Questa è la mia congettura, però ecco questo si può. Certo non il resto perché si andrebbe nella fantapolitica, però ha accelerato la cattura. Era molto importante che questo avvenisse.
Che scenari si aprono in caso di estradizione del capo negli USA? Che cosa sa e cosa può rivelare Joaquín Guzmán?
Quando un capo-mafia diventa famoso ottiene il vantaggio di poter in qualche modo negoziare con lo Stato se decide di collaborare. Se decide di non collaborare, non ha alcun vantaggio dalla fama in rapporto allo Stato. Anzi, Peña Nieto è stato praticamente costretto, così come la Colombia non poteva non eliminare Escobar. Mentre per esempio la Colombia è riuscita a gestire benissimo Salvatore Mancuso El Mono, capo delle autodefensas, narcotrafficante incredibile, potentissimo, ma riuscito a tenersi in qualche modo conosciuto solo agli addetti ai lavori, ai giornalisti, a qualche esperto.
Se non viene estradato El Chapo, non ha alcun senso quest’arresto e già solo il fatto che si debba aspettare un anno, significa vedere quanto sono capaci i cartelli dei narcotrafficanti a inserirsi dentro le difficoltà delle maglie della burocrazia.
Cosa avverrà al “cartello di Sinaloa”? C’è già una successione generazionale pronta, oltre alla leadership de El Mayo Zambada o di altri boss storici?
Quello che sta succedendo secondo me non è l’arrivo di una nuova generazione. Questo era già accaduto, cioè che El Mayo Zambada si fosse alleato con la “parte migliore”, in qualche modo, della nuova generazione di Sinaloa. Se ricordi c’era stato un passaggio su questo aspetto in cui aveva detto più o meno ‘o gli diamo il potere o se lo prendono’. Ne avevo parlato anch’io e poi El Cóndor, guardia del corpo de El Chapo, Carlos Hoo Ramírez, aveva confermato questa cosa pochi giorni dopo. Secondo me c’è un ritorno al passato, cioè i vertici tornano nella mani dei capi storici tra cui secondo me ci sono ancora Caro Quintero, Zambada, El Azul, cioè quelli che erano presenti quando ancora non c’era stata la divisione dei territori dei cartelli fatta dal Padrino [il boss Miguel Ángel Félix Gallardo].
Questa cosa li rende molto autorevoli, molto capaci di mantenere la forza dell’organizzazione. Hanno un metodo diverso, non sono come i figli de El Chapo, totalmente inaffidabili, totalmente anche tonti nel gestire gli affari. Non sono come, per esempio, El Vicentillo [Jesús Vicente Zambada], il figlio di El Mayo Zambada che ha avuto un ruolo importante nel business. I figli del Chapo sono in qualche modo ‘spacconi’ che non sono riusciti a diventare come lui sperava. Poi uno è il capo militare e uno è il capo economico, ma in realtà godono i vantaggi del carisma e del potere del padre ma null’altro.
Il CJNG (Cártel Jalisco Nueva Generación) sta catturando l’attenzione mediatica e cresce nel business delle metanfetamine. Che evoluzioni vedi in tal senso? Può il loro boss, Nemesio Oceguera, sostituire il Chapo nel narcotraffico messicano?
Non credo che siano ancora in grado di prendere il posto del Chapo e di Sinaloa in questo momento. Piuttosto sono tra i microgruppi, come Los Rojos o Guerreros Unidos e tutta questa marea di microgruppi, l’unico che può diventare un vero cartello. Già lo è, ma ecco, dico un cartello serio.
Il Messico o anche solo parti del suo territorio possono configurarsi come “Stato-fallito”?
Difficile dire che il Messico è uno stato fallito, non me la sentirei di dirlo. Se fosse così, sarebbe molto più facile.