Non basta essere eccessivi. In tanti ci provano e risultano una pagliacciata (Slipknot?). Qui il punto è che questi tizi, per qualche motivo inspiegabile, riescono a rendere i propri proclami deliranti una faccenda verosimile. Time To Die è un’allucinazione lunga settanta minuti in cui si parla di pistole come unico rimedio al dolore, droga nera che ti toglie l’anima, odio contro la razza umana e marjuana nelle tombe… Fa ridere, vero? Beh, in realtà non è proprio così. Gli Electric Wizard sono maestri nel far fischiare gli ampli quanto lo sono nella sospensione dell’incredulità. Quando guardi Il Signore Degli Anelli credi a un mondo fatto di nani, mostri, elfi e quant’altro, è quello il bello. Allo stesso modo il disprezzo totale del mondo e l’adorazione della morte diventano una faccenda terribilmente seria quando metti su un disco degli Electric Wizard. Insomma, io ho quasi quarant’anni e uno stile di vita casalingo e ultra borghese, eppure ogni volta che ascolto qualsiasi cosa incisa da questo gruppo non solo mi piace ma mi ci rispecchio. Di solito provo questo tipo di adesione completa per altri autori, per temi più intimi e personali. Solo gli Electric Wizard riescono seriamente a farmi transitare a questa versione carnevalesca del lato oscuro in maniera così cieca e incondizionata. La loro è una sublimazione del disgusto quotidiano che tutti dobbiamo subire nostro malgrado, quel mondo di regole inutili e personaggi orrendi che ci sorbiamo inerti diventa l’oggetto di una qualche forma di odio inafferrabile, primitivo, e dunque prezioso. Una capacità senza pari di tirare fuori il peggio senza senso, quello a cui è anche difficile dare un nome, si condensa in un vortice di riff, distorsione e urla lamentose. Potremmo stare ad analizzare Time To Die pezzo per pezzo, interrogarci sul perché suoni così marcio, sull’apporto di Greening o Burgess al sound ma sono tutti discorsi che perdono di senso alla luce del fatto che si tratta di una sincera apologia della perdita di controllo e che ha il merito di restituirci il rock and roll come materia realmente pericolosa. C’è un lungo filo invisibile che lega le ragazzine urlanti alla vista di Elvis che fa roteare il cazzo alle chiese in fiamme nel Nord Europa, che dagli Stones circa ‘69 passa per Reign In Blood e Dopethrone e arriva diretto fino a qui. Per fortuna una volta ogni tanto qualcuno ci ricorda che le cose potrebbero andare davvero per il verso storto.
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