19 ottobre 2011 di Massimiliano Scordamaglia Lascia un commento
Non e’ un caso certo perche’ tra i due esiste un’affinita’ che va oltre l’amicizia, va oltre l’ideologia e il corporativismo.
Tarkovskij fu del regista sostenitore, per certi versi scopritore ma nemmeno questo ha peso e valenza per definire il loro rapporto.
Nei lenti movimenti di camera di Sokurov c’e’ l’amore del dettaglio di Tarkovskij, una visione frattale che dalla fotografia scende negli infiniti dettagli che il mondo reale riserva a chi abbia voglia di osservare.
"Elegia di Mosca" e’ un omaggio, meglio dire un ricordo di Sokurov del suo amico, un collage di film, dietro le quinte, materiale di repertorio e riprese originali preparate appositamente per l’occasione.
C’e’ dolore trattenuto a stento dalla rabbia contro una politica cieca ed ingrata che nel 1987 anno del girato, ancora non aveva riabilitato la figura del suo grande Maestro e nella piu’ totale indifferenza ne fece un nostalgico esiliato che pago’ col confino l’amore per la propria terra, per la propria cultura, per il suo essere profondamente russo ed orgoglioso di esserlo. Quanta frustrazione nelle sequenze della morte di Breznev, periodo nel quale in patria gli ostacoli diventavano eccessivamente gravosi, tanto che Tarkovskij dovette lasciare i confini sovietici nei mesi in cui si palesava un regime ostile ad ogni forma di cultura che non gli fosse accondiscendente e che ironia per quelle immagini simili al funerale di Togliatti che Pasolini, egli si al regime genuflesso, riportava in omaggio ai suoi padroni e nella similitudine l’abissale distacco di un’arte eterna perche’ sopravvissuta alla miseria umana e quella miseria umana che qualcuno definisce eterna ma gia’ dimenticata.
Ancora piu’ forte pero’ e’ l’amore e il rispetto per quegli occhi curiosi, per il movimento delle mani, del corpo, gesti armoniosi ma decisi, come la sua tecnica lenta ma di strabiliante precisione e del resto e’ lo stesso Tarkovskij a suggerire che un regista debba essere come le proprie opere, unirsi ad esse e viverle in prima persona.
Gli anni dell’esilio sono quelli che maggiormente interessano Sokurov, fino alle dolorose immagini di Tarkovskij dopo il primo ciclo di chemioterapia, forte, determinato a concludere "Sacrificio", suo ultimo ed immortale lascito ad una terra che altro puo’ fare che rimanere muta ed attonita.
Di Tarkovskij resta il suo cinema e resta Sokurov a condividere lo stile e la visione e non si puo’ che ringraziare per entrambi e con entrambi smarrirsi dentro questo dolce e meraviglioso ricordo.
"Nel 1984 Tarkovskij scelse l’esilio. Non era ne’ un artista ufficiale, ne’ un dissidente convinto.
Aveva scelto di essere un regista mistico ma innanzitutto un regista russo."