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ELEGIE DUINESI #rilke #poesia #novecento

Creato il 03 giugno 2013 da Albertomax @albertomassazza

 

rilke

Pubblicate nel 1923, dopo una gestazione decennale, le Elegie Duinesi constano di dieci componimenti di varia lunghezza. Il titolo fa riferimento al Castello di Duino, vicino a Trieste, nel quale Rilke, ospite della principessa Marie von Thurn-und-Taxis, nel 1912 concepì l’opera e scrisse le prime elegie. L’opera fu portata a termine nel 1922 nel Castello di Muzot, in  Svizzera.

Se dal punto di vista formale le Elegie non offrono particolari spunti, a parte un timido sperimentalismo, sostenuto da una notevole padronanza sintattica e da un’elevata sensibilità musicale, per quanto concerne la tematica, il discorso si fa ben più complesso e strutturato. Al centro delle Elegie c’è il rapporto tra visibile e invisibile, dicibile e indicibile, condensato nella figura dell’angelo, ma non nella tradizionale accezione cattolica di protettore, quanto piuttosto come presenza invisibile e, in quanto tale, portatore di una conoscenza che trascende l’interpretazione umana.

Attorno alla figura dell’angelo, si sviluppa una teoria mitico-simbolica che risente della psicanalisi freudiana, attinta dalla tradizione classica e cristiana, letteraria e popolare, antica e moderna. Tutte figure in divenire o irrimediabilmente incompiute, dunque in trasformazione o cristallizzate nella trasformazione: di conseguenza, tutte mediatrici tra l’invisibile e il visibile, il detto e il non detto.

Rilke avverte come la modernità, attraverso la mercificazione e la massificazione, abbia precarizzato ulteriormente la capacità umana di comprendere la totalità dell’essere, già di per sè fisiologicamente labile (…e i sagaci animali lo notano che, di casa nel mondo interpretato, non diamo affidamento. I Elegia). Il funzionalismo utilitaristico impedisce di cogliere l’essenza delle cose che trova il suo più alto significato in ciò che non può essere visto e detto. L’uomo moderno ha aggiunto al fardello della razionalità interpretativa, la fede cieca che tutto si risolva nel velo di Maya dell’apparenza, che non ci sia niente oltre.

Il poeta non può che farsi ponte per riportare all’unità di anima e materia ed invitare l’umanità a riappropriarsi della totalità dell’essere, dicibile e indicibile, tangibile e intangibile, visibile e invisibile.



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