La Carta de Logu è sicuramente il frutto più sorprendente della plurisecolare Civiltà dei Giudicati sardi. Venne Promulgata con ogni probabilità il giorno di Pasqua del 1392, come atto conclusivo della reggenza di Eleonora d’Arborea, a causa dell’acquisita emancipazione dalla tutela materna del figlio Mariano, al compimento del suo quattordicesimo anno d’età. La Giudicessa Eleonora diventò reggente alla morte di suo fratello Ugone III (ucciso in una sommossa popolare causata dalla sua condotta tirannica ed abilmente cavalcata dagli aragonesi) per conto dei figli Federico, morto nel 1387 in età ancora immatura, e Mariano. Entrambi i figli furono il frutto delle nozze che Eleonora contrasse nel 1376 con Brancaleone Doria, discendente della potente famiglia genovese. I due sposi, entrambi piuttosto attempati per quei tempi, si stabilirono dapprima a Castelgenovese (Castelsardo), dove verosimilmente avvenne il concepimento dei due figli, e successivamente a Genova. Nella città ligure ebbe modo di mostrare le sue capacità diplomatiche, concedendo un prestito di quattromila fiorini d’oro al doge Nicolò Guarco e giungendo ad un accordo di massima per il futuro matrimonio tra suo figlio Federico e la di lui figlia Bianchina.
Pochi mesi dopo, all’inizio di marzo del 1383, non appena le giunse la notizia della morte violenta del fratello Ugone III, si precipitò ad Oristano per rimettere ordine e far valere il diritto del suo primogenito alla successione. Intanto, il marito si era recato a Barcellona per intessere trame diplomatiche con la corte di Pietro il Cerimonioso. Questa politica del doppio binario, rafforzare l’intesa con Genova e mantenere buoni rapporti di facciata con Barcellona, riportava l’ormai prossima famiglia reale in continuità con l’opera del titanico padre d’Eleonora MARIANO IV, dopo l’interregno di guerra aperta e totale di Ugone III. Ma una volta ottenuta la reggenza del Giudicato, Eleonora palesò l’intenzione di riprendere la politica paterna antiaragonese. Pietro IV, per tutta risposta, fece arrestare Brancaleone, che ancora soggiornava a Barcellona, per poi trasferirlo a Cagliari ed usarlo per riportare Eleonora a una condotta più remissiva, ma la Giudicessa, da buona sarda e degna figlia di Mariano, tenne lungamente testa al Re, cedendogli solo nel 1388, con un accordo piuttosto vantaggioso per gli aragonesi. Brancaleone venne liberato solo due anni più tardi e, preso il comando militare del Giudicato, compì vittoriose campagne antiaragonesi, rinverdendo i fasti del suocero. Eleonora, col marito ad occuparsi delle questioni politiche e militari ed il figlio ormai prossimo ad emanciparsi dalla sua tutela, maturò il disegno di riprendere il lavoro giuridico del padre per revisionarlo e completarlo. Nacque così la Carta de Logu, una delle più interessanti opere legislative del medioevo europeo, frutto di un sincretismo tra diritto romano e canonico, tradizione giudicale e consuetudinaria, esperienze statutarie comunali e signorili; capace di sorprendente lungimiranza, tanto da essere adottata dai colonizzatori per i successivi 430 anni; ma, soprattutto, con aspetti precursori dello stato di diritto, del welfare e dell’emancipazione femminile.
Si suppone che il termine Carta de Logu fosse stato usato già in precedenza, quantomeno a partire dal XIII, in tutti o quasi i Giudicati. Ne fanno fede numerosi riferimenti in varie fonti epistolari e memoriali, soprattutto per quanto concerne il Giudicato di Cagliari. Mariano IV, ancor prima di divenire Giudice, redasse una Carta de Logu per riorganizzare e bonificare i suoi possedimenti del Goceano e della Marmilla. Una volta salito al trono nel 1347, promulgò dapprima un codice rurale, atto a regolamentare le attività agricole, pastorali, venatorie e forestali, riprendendo e ampliando la fortunata esperienza legislativa fatta da Conte del Goceano e della Marmilla. Negli ultimi anni di regno, consolidato il potere su buona parte dell’isola, ampliò ulteriormente la sua opera legislativa, promulgando la sua Carta de Logu, della quale non è rimasta alcuna traccia diretta. Eleonora riprese in blocco il lavoro paterno, lo aggiornò ed ampliò i punti più carenti. La Carta promulgata da Eleonora ci è giunta da un manoscritto di qualche decennio più tardo e da un’edizione ad incunabolo della fine del XV secolo. Il manoscritto è composto da 163 capitoli ed è giudicato spurio e di cattiva qualità linguistica, mentre l’incunabolo consta di 190 capitoli (i capitoli in più corrispondono al Codice rurale di Mariano), divisi in dieci sezioni ed è considerato fedele all’archetipo, a parte l’aggiunta del suddetto codice. Il testo è scritto in volgare campidanese e le disposizioni vengono chiamate Ordinamentos.
Difficile stabilire con precisione quanto sia attribuibile ad Eleonora e quanto a Mariano. Verosimilmente, la sensibilità femminile della Giudicessa arricchì la sagace opera del padre con un’attenzione decisamente innovativa per la difesa delle fasce deboli. E’ il caso degli ordinamentos in materia di stupri, con salatissime multe (con amputazione della gamba in caso di non ottemperanza), variabili a seconda che si tratti di una vittima sposata, da maritare o vergine. Nel capitolo 21 tra le pene, per così dire accessorie, viene riconosciuto alla vittima, se nubile e in età da marito, il diritto di veto sul matrimonio riparatore e la pena alternativa per il violentatore di provvedere alla sua dote. Implicitamente, lo stupro viene considerato reato contro la persona, cosa di non poco conto se si considera che nella legislazione italiana, fino a non molti decenni fa, tale reato era considerato contro la moralità e il buon costume. Particolare attenzione viene mostrata anche nei confronti degli orfani, compresi i figli dei condannati a morte (pena capitale prevista per un numero limitato di delitti particolarmente gravi), al cui sostentamento dovevano provvedere le autorità del villaggio di appartenenza.
Un altro aspetto decisamente interessante e innovativo da attibuire ad Eleonora è il fatto che, se pure non mancano le invocazioni a Gesù e a Dio padre, il testo fa continuo riferimento al legame tra il Giudice e il suo popolo, elemento che evidenzia il costituzionalismo della Carta de Logu. La ragion d’essere della Carta era esplicitamente riconosciuta dalla legislatrice nel garantire sicurezza e protezione ai cittadini onesti, contro le sopraffazioni dei violenti e dei delinquenti. I principi basilari si richiamavano alla certezza della pena e all’uguaglianza dei sudditi di fronte alla legge. Altri aspetti interessanti, probabilmente concepiti da Mariano e perfezionati dalla figlia, riguardano le disposizioni per la regolamentazione della attività rurali. In particolare, per prevenire gli incendi, veniva fatto obbligo alle comunità dei villaggi di provvedere per tempo all’eliminazione delle stoppie, pratica ancora diffusa come efficace strumento di prevenzione. Per combattere l’omertà, tanto radicata nella cultura agropastorale sarda, i villaggi che davano protezione a un reo di omicidio, erano tenuti a risponderne con pene pecuniarie gravanti sia sulle autorità che sulla cittadinanza.
In definitiva, la Carta de Logu promulgata da Eleonora, seppur inserita nella temperie tardo-medievale, offre slanci sorprendenti di modernità e innovazione, confermando la complessità strutturale della società giudicale e la sapienza governativa di Mariano e della figlia. Nel 1421, il Re Alfonso il Magnanimo, dopo aver affermato definitivamente la propria sovranità su tutta l’isola, a seguito della cessione dei diritti da parte dell’ultimo Giudice d’Arborea Guglielmo III di Narbona, estese la giurisdizione della Carta su tutta la Sardegna. Per oltre quattro secoli, l’opera legislativa di Eleonora regolamentò i rapporti tra i sudditi del regno, fino a quando non venne sostituito nel 1827, in piena epoca sabauda, dal codice emanato da Carlo Felice.
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