L’ultimo album degli Elettrofandango (In Quanto Già Peccato del 2009) aveva avuto buona stampa. Oggi, ben tre anni dopo, li ritroviamo a replicare tutto sull’ep Achab: stesso cover artist, stesso approccio “letterario” ai testi, interpretati ancora in maniera enfatica/teatrale/alcolica, last but not least un sound di nuovo legato agli anni Novanta, più nello specifico noise rock mischiato con qualche accenno blues, più spunti grunge e forse anche metal. C’è qualche intervento elettronico, ma siamo nel 2012, quindi non c’è nulla di cui stupirsi e in ogni caso non è che gli innesti siano tali da farci parlare di una creatura diversa. Le prime tre canzoni, come direbbero loro, sono una mattanza: molto bene soprattutto “Achab”, anche per come versi e musica possiedono lo stesso ritmo. Il lento “Polare” e alla sua coda “Relictual” interrompono l’euforia e spostano gli stati d’animo in una zona funerea e rassegnata grazie anche al trombone di Marco Doimo. Riflette questo cambio di umore anche “Vertigo”, nonostante i quattro tornino a menare le mani.
Rock alternativo e testi più impegnativi della media: Marlene e Afterhours, del resto, sono esplosi nel decennio dal quale gli Elettrofandango pescano. Tutto sommato, poi, il Teatro Degli Orrori ha provato ad aggiornare questa combinazione, per questo non si capisce come mai non sembri esserci un po’ più di gloria anche per gli Elettrofandango (ma non ho statistiche per le mani).