di Rina Brundu. Parto dalla fine perché la maleducazione non mi piace, meno che meno in Rete, dato che l’ho sempre combattutta con ogni mezzo. E dunque faccio un appello ai bravissimi redattori di Wikipedia affinché mettano subito fine all’hacking sulla pagina di Antonio Ingroia (vedi screenshot a corredo di quest’articolo), che ho notato mentre mi documentavo per scrivere questo pezzo. Va bene la campagna elettorale, va bene la passione politica, ma per tutto dovrebbe esserci un limite e definire un magistrato della Repubblica un analfabeta per me è un imperdonabile superamento di quel limite.
Detto questo dico pure che personalmente ho simpatia per l’uomo Antonio Ingroia. Meno molto meno per il politico e per la sua avventura ai limiti dell’incredibile. Non parlo naturalmente dell’ormai mitica discesa agli inferi, pardon… del mitico viaggio in quel di Guatemala alle dipendenze dei più quotati organismi internazionali, quanto piuttosto dell’odissea come leader del movimento “Rivoluzione Civile” durante l’ultima campagna elettorale. Un movimento politico, Rivoluzione Civile, che a conclusione dei “lavori” si è portato a casa 549.987 voti al Senato (1,79% secondo i dati dal Ministero dell’Interno), e 765.172 voti (2,25%) alla Camera dei Deputati. Ovvero, nulla! Nada! Nisba!
Ma a dire il vero non è su questi dati per certi versi attesi che il mistero-Ingroia diventa enigma criptico capace di dar filo da torcere a menti raffinate come quella del fu John Dickson Carr (i.e. dello straordinario giallista della Golden Age, autore de “Le tre bare” – The hollow man, 1935 – ovvero del miglior romanzo giallo di sempre così come di infinite altre trame da camera-chiusa), quanto piuttosto in virtù del suo comportamento post-disfatta elettorale (anche del suo comportamento durante-disfatta ma queste sono bazzecole oggidì!). Ieri sera, per esempio, diversamente da Rosy Bindi che causa un “improvviso malessere” ha disertato la trasmissione di Vespa (come non capirla, del resto!), Ingroia non si è negato alle telecamere. Al contrario si è mostrato disponibilissimo e alla stregua di un brutto anatroccolo tenerone, con le alucce bagnate di pioggia, la barba lunga incolta, lo sguardo perso di chi non è ben sicuro di dove si trovi ma intuisce che ogni-lasciata-è –persa, ha continuato a ripetere come un disco rotto che la colpa del tracollo a sinistra (e implicitamente del suo personale tracollo), era del Bersani che ha preferito guardare verso i… Monti. Ancora, con un candore fanciullesco che, lo confesso, mi ha intenerito al punto di farmi versare una qualche furtiva lacrima, come quando da bambina guardavo alla tv le avventure del malotiano orfanello Remì (Senza famiglia, 1878), ha ribadito che NON si dimetterà dalla magistratura non vedendo (sembrerebbe!), l’ovvio conflitto di interessi tra le sue due attività preferite.
Ecco dunque perché la domanda mi sorge davvero spontanea: ma perché ieri Antonio Ingroia, come la Rosy Bindi in fuga, non ha disertato le telcamere? O degli enigmi italici impossibili!
Featured image, screenshot della pagina wikipedica hackerata.