Elezioni FIR: Gavazzi vuole Giovanelli, lui vuole il Veneto e la Lombardia uniti

Creato il 09 luglio 2012 da Ilgrillotalpa @IlGrillotalpa

Fabrizio Zupo per la Tribuna di Treviso

Non ha bisogno d’essere tirato per la giacchetta per dire la sua: generoso in campo come nei rapporti umani capitan Giovanelli va via dritto. C’è però una voce che lo vede indicato da Alfredo Gavazzi (candidato presidente Fir contro Amerino Zatta della Benetton e Gianni Amore) all’unico posto previsto in consiglio di rappresentanza dei tecnici (altri due dei giocatori e sette i consiglieri espressi dai club). Il “Giova” 45 anni, 37 volte capitano azzurro, nel 1997 guidò la Nazionale alla vittoria di Grenoble contro la Francia vincendo il Fira. Pochi lo ricordano, fu un record assoluto: per la prima volta in 70 anni un paese del Fira (una serie B europea) batteva in finale la Nazionale fresca vincitrice del 5 Nazioni con tanto di grande slam. Fu il capolavoro sul campo del gruppo di Coste che permise quello politico: entrare nell’elite.
Allora Giovanelli è solo una voce elettorale? «Ad oggi non ho avuto contatti di nessun genere, né da una né dall’altra parte». Nella tessitura della geografia elettorale il fronte Veneto con l’adesione di Rovigo (per nulla scontata) e quella più prevedibile ma che rosicchia il voto lombardo di Viadana (contro Dondi dopo la bocciatura degli Aironi), il mitico capitano sarebbe un bel colpo per la lista Gavazzi. Anche perché spesso antagonista (creò il Crri alle precedenti elezioni) alle scelte federali. È comunque una risorsa per il movimento azzurro.
Pur non schierato qual è il suo pensiero su questa estate elettorale che cambia gli orizzonti:
«Credo sia giunto il momento di fare un ragionamento sul rugby e sul momento difficile
che sta vivendo come tutto per la crisi – dice ricordando orgoglioso di aver appena formato
una rosa tutta italiana per i Crociati in Eccellenza – Dondi non c’è più e questo forse ha sparigliato i giochi. Ma io credo che sia arrivato il momento di un accordo fra Lombardia e Veneto: uniti per trainare il rugby azzurro. Bisogna creare percorsi di condivisione. C’è bisogno di mediazione, di riuscire a costruire; invece il rugby italiano ha sempre avuto una forte propensione a distruggere».
Ma in un momento di crisi, le franchigie per lei hanno un senso o sottraggono risorse al movimento, ai club che non ce la fanno: «Le franchigie dovrebbero potersi moltiplicare in futuro ma per farlo devono collegarsi con il territorio, con le società. Non possono essere delle nuvole sospese e isolate su una realtà che invece arranca. Forse per la fretta di entrare in Celtic non s’è partiti ben preparati. È il momento di mettersi a ragionare».


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