Chiusi i seggi, in Islanda, è tempo di bilanci politici.
La popolazione si è espressa, senza timore di provocare con un inequivocabile guanto di sfida il Vecchio Continente.
Infatti, dalle urne esce vincitrice la coalizione di centro-destra: un forte tratto euroscettico e nazionalista e l’idea che l’isoletta da sola possa rialzarsi hanno accattivato l’elettorato; gli Islandesi non hanno gradito le ricette economiche offerte dalla maggioranza uscente di centrosinistra ( ora al 13%). Queste si ispiravano più ai dettami del rigore e cercavano di ben figurare nei consessi internazionali, così da rimanere interlocutore esterno privilegiato di un mercato appetibile come quello dell’Unione.
Proprio mentre la piccola isoletta di 319.575 abitanti avviava le procedure per presentare la candidatura come futuro membro della Comunità, il risultato elettorale interroga Bruxelles; il partito dell’indipendenza islandese ha preso il 26%, 19 seggi sui 63 totali dell’unica camera dell’ordinamento.
Con l’alleato, la compagine conterà facilmente su 37 seggi circa.
Il candidato premier, Benediktsson, non fa mistero di voler interrompere i contatti diplomatici utili per inserirsi in seno all’Ue.
È da osservare però che la massiccia retorica anti Europa dei nazionalisti non ha mai messo in dubbio la validità di Schengen ( cui aderiscono) e degli altri patti bilaterali che offrono alla piccola isola non pochi vantaggi economici, in termini di scambi con i Paesi comunitari. Che vogliano mantenere i benefici, criticando e interrompendo i contatti con Bruxelles?
Insomma, l’elettorato pare aver dimenticato in fretta che proprio il Governo di centrodestra nel 2008 guidava il Paese e si rese responsabile di una serie di negligenze politiche che concorsero al default delle maggiori banche isolane ( 85 miliardi di debiti accumulati all’epoca dalle tre maggiori società bancarie).
Sono bastate le affermazioni audaci su tagli delle tasse e della spesa pubblica, occupazione e crescita per spostare da una coalizione all’altra il testimone politico.
Monitorando la situazione, si potrà comprendere se si tratta di demagogia elettorale o di altro ed efficace paradigma politico-economico.
Certo è che anche l’Ue avrà il compito di reagire politicamente nei confronti dello scenario che via via viene delineandosi tendendo il rigore come dogma.
articolo di Lorenzo Berto