Mariaserena Peterlin per il Simplicissimus
C’è in giro un’atmosfera pesante; la faccia spettrale di quello che dice che non si può negare agli elettori il diritto di assistere a un confronto diretto, a tre, in tv la dice lunga. Marginalmente non si è in pochi a notare che il confronto a tre è coerente con la suggestiva e sanguinolenta proposta di tagliare le ali ma non con la par condicio né con un principio di uniformità minima nei confronti degli altri partiti e formazioni in lizza visto che la competizione elettorale vede numerosi partecipanti alcuni dei quali ben piazzati nelle previsioni di voto.
Ma tutto questo ormai sta per finire.
Continueranno invece, oltre la data del voto, la depressione culturale, la crisi del sapere, lo spegnimento degli intelletti così evidenti anche nel nostro paese.
Delle cause s’è tanto detto. Delle responsabilità generiche e piazzate in alto loco anche. Ma non si parla, temo, abbastanza delle responsabilità personali di ciascuno. Se i minori e i deboli devono essere protetti, se i non forniti di strumenti hanno giustificazioni e situazioni che li esentano, ci sono però molti, che a buon titolo non sopporterebbero l’etichetta di ignoranti o disinformati e che si aggirano tra vita reale e virtuale esibendo opinioni scritte e parlate, leggono, si esprimono, scrivono. Però leggono roba da asporto (un po’ come si compra una pizza a portar via), esprimono opinioni prêt-à-porter, e scrivono per fatti loro scambiando per poesia e letteratura sussulti cardiaci o ombelicali buoni solo per una visita intra moenia quando non per un ballo del qua qua che dica “ci sono, ma so fare solo qua qua qua, io sono qua.”
E non è una novità.
Insomma non siamo mica qui, come recita il noto refrain, a scoprire la necessità di una scrittura e una letteratura d’impegno. La conosciamo. Tuttavia forse è il caso di rilanciarne l’urgenza, di dire che parlare di sé va bene quando riusciamo a funzionare come un proiettore di foto di gruppo o come una cassa di risonanza di un coro polifonico e non come un arnese autoreferenziale. Non sarebbe male dunque ricordare che se per noi è essenziale dare sfogo alle dispepsie personali forse disponiamo anche di mezzi utili ad altro e possiamo quindi dar voce a chi non ha voce, possiamo convogliare un pensiero utile verso chi non riesce ad esprimerlo e rappresentare un malessere non sempre razionalmente consapevole. Possiamo contribuire a avviare soluzioni.
Il 16 febbraio il Simplicissimus, parlava anche a proposito del prossimo voto, di semina.
Un tempo particolarmente caro, quello della semina, a chi ama il futuro ed ha fiducia nella buona sostanza di cui, in fondo in fondo, potremmo essere fatti: se riusciamo ad esprimerci seminando anche per il nostro prossimo vale la pena di farlo, anzi oggi sarebbe un dovere a cui siamo chiamati. Seminare, anche per dimenticare le facce tristi. La stagione è quella giusta.