In un momento storico in cui i sondaggi riportano il calo della popolarità di Obama, le primarie del Partito Repubblicano sembrano delineare una lotta politica meno difficile del previsto per l’attuale presidente in carica. Dei numerosi candidati repubblicani presentati nel 2011 sono ormai rimasti solo quattro ‘competitors’, le cui credenziali, però, potrebbero sembrare poco appetibili per sperare nell’elezione alla Casa Bianca.
Mitt Romney è fresco reduce dalla vittoria delle primarie in Florida e Nevada, grazie anche al fortissimo supporto economico che ha ricevuto da alcuni dei suoi sostenitori più facoltosi. Il candidato repubblicano può vantare il sostegno di alcuni senior executives della Goldman Sachs (sostegno che ammonta a circa $385,000), nonché di tre fra le più importanti figure di spicco del “mondo degli hedge funds”, che hanno contribuito per un totale di un milione di dollari ciascuno. Le persone in questione, stando a quanto cita il NY Times, sono Robert Mercer, Paul Singer e Julian Robertson, ma rappresentano solo un’esigua parte di coloro i quali hanno sostenuto, fino a ora, la scalata al vertice di Romney.
La disparità fra gli introiti derivanti dagli sponsor di Romney e quelli degli altri candidati può, plausibilmente, spiegare l’attuale preminenza del primo (almeno in questa tornata iniziale delle primarie) sui secondi. Newt Gingrich, per esempio, vanta “solamente” pochi milioni di euro a sostegno della sua campagna presidenziale, essendo nondimeno strettamente legato al contributo di un singolo donatore: Sheldon Adelson, facoltoso proprietario di casinò. Quest’ultimo ha recentemente contribuito con 10 milioni di dollari alla campagna di Gingrich, il quale, dal canto suo, può vantare anche un paio di supporters dal calibro più ridotto (parliamo di circa 500 mila dollari), quali Harold Simmons, vecchio miliardario ultraconservatore del Texas, e W.S. Propst, facoltoso uomo d’affari dell’Alabama.
Ma in che modo le vaste risorse monetarie a cui possono accedere i candidati riescono a influenzare le primarie? Stando ad alcune recenti statistiche riportate dal Washington Post (1), sembra siano state delle tipologie ben mirate di comunicazione a fare la differenza. Nella classifica delle campagne repubblicane dedicate ad argomenti specifici troviamo, ai primi posti, budget/spese del governo, lavoro e messaggi anti-Obama. Spicca, però, all’ottavo posto la campagna di messaggi anti-Gingrich e, solo al quindicesimo posto, la spesa per quelli che si rivolgono contro Romney. I quattro principali candidati repubblicani (i due già citati, più Paul e Santorum) hanno in totale all’attivo 52,6 milioni di dollari spesi in campagne pubblicitarie, contro i 500 mila di Obama.
Stando ai dati attuali, si delinea una disparità sostanziale fra l’ammontare dei fondi che i candidati del GOP sono stati in grado di raccogliere e la quantità di soldi alla quale può attingere l’attuale presidente in carica: Romney, candidato che ha raccolto circa 57 milioni di dollari, si vede nettamente sorpassato dai 140 milioni che Obama è stato in grado di ottenere nel solo 2011. Il capo di Stato, infatti, può contare su un efficientissimo “apparato da soldi”, rappresentato da migliaia di sostenitori che raccolgono, da parenti, conoscenti e amici, assegni che arrivano fino a duemilacinquecento dollari ciascuno. Questo approccio, almeno per ciò che concerne la quantità di fondi raccolti, sembra dare i suoi frutti.
La paradossale situazione politica in cui si trovano gli Stati Uniti in questo momento, dunque, vede un presidente uscente che gode di un bassissimo consenso popolare ma che, tuttavia, sulla carta non sembra poter essere troppo impensierito dal suo futuro rivale nella corsa alla Casa Bianca. Gli attuali quattro “superstiti” delle primarie repubblicane, in effetti, non appaiono avere un profilo politico che possa esercitare un appeal così forte sugli elettori, né, tantomeno, sembrano poter contare su campagne mediatiche tali da favorirli contro Obama. Se, infatti, quest’ultimo non poteva non pagare lo scotto di un’economia stagnante e di un tasso di disoccupazione gargantuesco che hanno segnato l’anno appena trascorso, ora potrebbe essere favorito da una lieve (ma sicuramente ancora insufficiente) ripresa del mercato del lavoro statunitense. Secondo quanto reso noto dal Dipartimento del Lavoro degli U.S.A., il tasso di disoccupazione a novembre 2011 sarebbe sceso al 9% (da 9,1% del mese precedente), toccando il minimo degli ultimi sei mesi.
Nonostante questi lievi cenni di ripresa, sono 14 milioni gli statunitensi senza un’occupazione, di cui 6 milioni in cerca di lavoro da oltre sei mesi. Ciò rappresenta la questione più importante alla quale i candidati alla presidenza devono poter dare una risposta. Obama si è dimostrato incapace di affrontare efficacemente la crisi economica che ha investito il Paese, tuttavia può essere avvantaggiato nella corsa verso la ri-elezione: ha dalla sua parte fondi molto consistenti e una controparte poco convincente. I candidati repubblicani appaiono poco all’altezza del ruolo per il quale si propongono, e la scrematura operata fra un numero più consistente di “wannabes” ha solo evidenziato un partito che ha generato molti aspiranti presidenti, ma nessuno con un sostegno tale da poter essere ritenuto nettamente vincente.
La campagna presidenziale sta entrando solo ora nel vivo e c’è da scommettere che il reale terreno di scontro, sul quale le carte in tavola potrebbero essere cambiate, sia proprio quello della ripresa economica. Già nei mesi scorsi, infatti, avvenimenti quali l’uccisione di Osama bin Laden e la morte di Gheddafi hanno dimostrato che non è la politica estera, in questo particolare momento storico, l’appiglio a cui aggrapparsi per attrarre a sé consensi popolari. Tuttavia, il calendario delle primarie è solo al suo inizio e non è ancora chiaro chi sarà il candidato repubblicano alle presidenziali; chiunque sia, però, dovrà sfruttare il tempo a sua disposizione per calibrare bene le sue proposte e, possibilmente, riuscire a dare quelle risposte e soluzioni di cui il popolo statunitense ha, mai come ora, particolarmente bisogno. All’interno del GOP, inoltre, è plausibile prevedere ulteriori defezioni di candidati (Paul in primis) man mano che le primarie avanzano di Stato in Stato, così da giungere da qui a qualche mese a uno scontro più serrato fra chi rimarrà in corsa. Romney e Gingrich, in virtù dei risultati delle recenti primarie in Nevada (49,6% e 21,3% dei voti, rispettivamente), sembrano essere i più lanciati verso la candidatura ufficiale alle presidenziali.