Ieri ho rivisto, più che caso che per scelta, The book of Eli, arrivato a noi con l'improbabile titolo Codice Genesi.
Premetto che il film non mi piace granché. Quell'atmosfera da reborn christians che permea tutta la pellicola me lo rende indigesto al di là del bene e del male. Detto ciò, mentre lo riguardavo, nella mia mente è nato un parallelismo spontaneo e per molti versi impietoso tra Eli (Denzel Washington) e l'eroe postapocalittico più famoso di sempre, Max Rockatansky, meglio noto come Mad Max (Mel Gibson).
Eli
Eli è un personaggio misterioso. Dopo la guerra nucleare che trent'anni fa ha distrutto buona parte del genere umano, Eli si aggira in ciò che resta degli Stati Uniti, diretto verso ovest. Anche se “a ovest non c'è niente”, come puntualizzerà il cattivo della situazione, Carnegie. A dire il vero il nostro eroe non conosce nemmeno la sua esatta destinazione. Sa solo che deve difendere il prezioso tesoro che trasporta con sé: un libro. Anzi IL libro, ossia l'ultima Bibbia intatta rimasta in circolazione. Un oggetto che cela il potere della parola o, se vogliamo dirla tutta, il presunto potere della parola di Dio.
Eli è un combattente letale, sia all'arma bianca che con pistole e fucili. Non ci è dato sapere molto del suo passato. Non sappiamo dove ha imparato a combattere così, né da cosa nasce la missione mistica che guida i suoi passi.
Eli è tuttavia un personaggio contemplativo, poco appariscente, incline alla fuga, più che alla lotta. Non a caso uno dei suoi motti è “non farti coinvolgere”. Va da sé che, in un mondo caratterizzato da predoni, cannibali e delinquenti, tale motto non ha quasi mai senso. Lo potremmo quasi definire un monaco-guerriero, un novello templare. O qualcosa del genere.
Max
Di Max invece sappiamo tutto. In un futuro non troppo lontano, la società com'è oggi conosciuta non esiste più. Le strade sono in balia di criminali psicopatici e drogati. Max era un agente della Main Force Patrol australiana, un corpo di polizia stradale che non va troppo per il sottile. Sua moglie e suo figlio sono stati trucidati da una banda di pirati della strada, che poi lui ha puntualmente massacrato. Senza più famiglia, Max ha lasciato la MFP e si è messo a vagabondare per il mondo morente.
Combatte contro gli Humungus, assoldato come mercenario dalla “tribù del nord”, un gruppo di disperati che possiede un piccolo pozzo d'estrazione petrolifera. Dopo averli messi in salvo dai feroci razziatori, Max riprende la sua marcia nel nulla delle terre perdute.
Arrivato a Barter Town viene coinvolto nello scontro di potere tra Aunty Entity e Master, l'anziano nano che controlla l'energia elettrica della township. Sfuggito dalla morte “gladiatoria”, si trova quasi per caso ad aiutare una tribù di ragazzini selvaggi che vive nel deserto. Dopo l'ennesima battaglia da cui uscirà malconcio ma vincitore, Max rimane ancora una volta in mezzo al nulla. La sua storia, così come la sua vita, resta sospesa in un presente che non contempla né futuro né redenzione.
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Facile intuire quale dei due road warrior rimarrà più a lungo nel cuore dei cinefili, vero?
Eppure direi che la diversa concezione di eroi che si muovono in un contesto pressoché identico la dice lunga su dove un certo genere di film è andato a parare (almeno nei casi di medio-grande distribuzione) dagli anni '80 a oggi.
Sarò un cinico bastardo, ma l'idea dell'eroe redentore, mistico e salvifico mi piace sempre meno, mentre ho immutata stima nei confronti dell'eroe negativo, nel reietto, quale è senz'altro Max. Questo senza nulla togliere a Denzel Washington, che recita la parte con grande bravura e convinzione.