Magazine Poesie
In attesa che i consueti affanni mi diano un po' di fiato per potermi dedicare meglio ad alcuni autori tra cui lei, pubblico qui un inedito di Elia Malagò, che l'autrice mi ha gentilmente inviato e che si aggiunge a quanto già pubblicato QUI nel 2010.
E' stato proprio in coda ai commenti a quel vecchio post che Elia mi ha contattato verso la fine dell'anno scorso, superando la grande riservatezza che mi pare di poterle attribuire: "caro Giacomo, so di essere fuori tempo massimo. e forse per questo mi sento libera di dirti che ci sono, e che leggerti mi ha fatto piacere. di più: compagnia. Non credo la poesia possa molto altro, e non è poco. L' umana compagnia sta tutta qui da sempre. dobbiamo solo riprendere le parole e la loro lezione: la resilienza. ciau e grazie. Elia Malagò".
In realtà, grazie a Dio, un'altra grande lezione è che il tempo massimo - in poesia - non esiste. Proprio grazie alle parole che prima o poi, anche nel caotico mondo digitale, la loro strada riescono a trovarla. La resilienza è anche questo, la capacità di ricostruire una comunicazione significativa, magari sfruttando una buona dose dell' "azzardo" che troviamo in questo testo (o della fortuna come la intendevano i latini), e forse contro l'azzardo stesso.
Diverse suggestioni in questo breve testo, quasi un sonetto "allargato" in entrata. Il fondale del titolo è certamente il marchingegno scenico teatrale a tutti noto, lo sfondo fittizio contro cui la scena si svolge, la mimesi di una realtà, spesso intercambiabile, contro cui i personaggi gettano la loro ombra. Ma è anche, tuttavia, un velo (o velario) che nasconde una parte importante della realtà o della proiezione della nostra psiche sulle cose. E' l'accidente "ingovernabile", l'inciampo fortuito (lo skàndalon) a mettere in crisi il meccanismo, riportando di colpo il sopravvento delle emozioni (il pianto e il riso) sull'ordine razionale dei giorni. Il fondale evocato in premessa si riappalesa così sotto forma di una vecchia coperta, diventa sipario che si apre, o una mappa da percorrere con le dita. La mappa disvela la mancanza di un "rovescio", un'unica faccia della realtà. Quella è la "dote", non altro, l'evidenza. Forse una delusione, forse una conquista. Mi viene da pensare, da una diversa, forse opposta prospettiva, al Montale di "Forse un mattino andando" o all'angelo necessario di Stevens (v. QUI), alla loro diversa "realtà". E mi piace immaginare che il finale, con la sua leggerezza quasi infantile, non sia legato al presente del testo, ma sia un ritorno al passato, il ricordo di una bambina con la sua cerata gialla. (g.c.)
Fondale
Un giorno d’afa o gelo
o uno di quelli che irrompono
ingovernabili sul fondale di cartapesta
per un morsetto inceppato dietro le quinte
scardinando sequenze e ragioni
indifferenti ai tempi del pianto e del riso
smonti la coperta di nonna dal telaio
le dita passano sul cotone inciso di orli a giorno
e tramature nascoste per la dote
et voilà, manca il rovescio:
solo un bosco di salici e robinie figurate
dentro una cintura di pioppi baluginanti
a riempire il piatto, alzare la posta dell’ azzardo.
Allora indossi la cerata gialla e cammini
controvento a braccia aperte fino
a che tiene il laccetto delle scarpe ballerine
(2 maggio 2012)