Quando nel 1922 in Italia ebbe inizio la dittatura fascista, a Siracusa la resistenza più decisa ed intransigente andò costituendosi intorno ai gruppi anarchici locali. Composti di artigiani, contadini,operai, studenti, in gran parte giovani e adolescenti, raccolsero quanti, dopo l’esperienza dolorosa della guerra del 1915-’18, cercavano una soluzione radicale del problema sociale e delle guerre ricorrenti a scadenza sempre più ravvicinata.
In uno di questi gruppi avemmo con noi il quattordicenne Elio Vittorini. Frequentava allora l’Istituto Tecnico siracusano in cui un agguerrito gruppo di giovani anarchici, Archimede Grasso, Turiddu Amenta, Michele Gallo, Luciano Miceli, alcune allieve della compagna Eva Balleriano che vi insegnava inglese, ed altri, svolgevano intensa attività ideologica anarchica insieme ad una decisa agitazione antifascista che fronteggiava lo squadrismo che era apparso, come fenomeno concreto, a Siracusa, soltanto dopo che il fascismo era al governo.
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Elio Vittorini non ebbe bisogno di sforzi iniziatori perché la sua maturazione in senso rivoluzionario e libertario era avvenuta in lui attraverso l’esperienza della guerra che da noi si osservava quotidianamente sul mare prospiciente l’isola di Ortigia, con gli attacchi da parte dei sottomarini austro-tedeschi ai convogli di navi alleate; lo spettacolo dei naufraghi delle navi affondate e dei cadaveri alla deriva sospinti sugli scogli e sulle spiagge circostanti, confrontato con la retorica patriottarda degli eroi dell’«armiamoci e partite» fecero maturare precocemente molti di noi, allora meno che adolescenti. Elio ha descritto l’affondamento di una nave da lui osservato quando aveva meno di dieci anni. Di famiglia tendente alla borghesia per la condizione del padre, capostazione, Elio scelse decisamente il suo posto tra i lavoratori con i quali aveva vissuto durante le peregrinazioni all’interno della Sicilia e che amava di amore spontaneo perché la sua famiglia, come le nostre, affondava le sue origini nel popolo lavoratore isolano. Lo spettacolo indecente, vile ed abietto di popolani, e studenti figli di popolani, in camicia nera al servizio degli ultimi rampolli della nobiltà (oggi estinta nel siracusano) e della borghesia, che si davano da fare, con la protezione governativa contro le sedi operaie e contadine, contro gli oppositori del fascismo, ci empiva di sdegno e volgevamo le spalle agli antifascisti, più o meno elettorali della vigilia, che ci raccomandavano la rassegnazione. Intorno ai gruppi anarchici si strinsero tutti coloro che non volevano piegarsi al fascismo.
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Tra i ricordi di Vittorini che si affollano alla mia mente la gioia provata al confino, a Ventotene, durante l’ultima guerra, nell’avere tra le mani la copia di Conversazione in Sicilia meriterebbe uno scritto particolare. Intorno a quest’opera si accanì il conformismo paludato di pseudo rivoluzionarismo con il quale Elio dovrà ancora scontrarsi in avvenire. Però vi fu un’eccezione illustre. La maggior parte dei lavoratori che costituivano la collettività dei confinati ed internati politici di Ventotene sentirono subito che Elio era uno di loro, che esprimeva le loro stesse insofferenze e soprattutto non era «passatempo piccolo borghese» quel genere di letteratura. Conversazione in Sicilia fu certamente il romanzo più letto dai confinati di Ventotene negli anni 1940-’45.
- da: Alfonso Failla, "Elio Vittorini con gli anarchici di Siracusa", in «Il Ponte», luglio-agosto 1973 -