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Elizabeth Strout, Olive Kitteridge

Creato il 23 novembre 2012 da Consolata @consolanza


Una raccolta di racconti apposta per quelli che quando sentono “racconti” storcono il naso e dicono “no, a me non piacciono”. Pigrizia mentale, preconcetti, semplice ignoranza, non so. Ricordo anni fa, era uscito un mio libro e un dotto cugino mi chiese di che cosa si trattasse; alla mia risposta “tre racconti” disse: “ah, sempre cose per ragazzi”? E insegna letteratura all’università. Va be’, io adoro i racconti. Adoro scriverli e leggerli. Ci sono racconti che mi si sono stampati in testa e dopo decenni, tanti, me li ricordo ancora per filo e per segno. Ad esempio, L’eresia cataradi Pirandello, Una parente d’acquistodi Beatrice Solinas Donghi, uno russo che non ho mai più trovato e di cui non so l’autore (se qualcuno mi potesse aiutare: una coppia di studenti va a fare una passeggiata in un parco fuori città e si scambia effusioni, sono seguiti da un gruppo di proletari che li circondano, immobilizzano il ragazzo e violentano la ragazza; quando se ne vanno, lui, piangendo, la violenta a sua volta. Direi inizio ‘900), La bella incantatrice di Oliver Onions, e altri. Elizabeth Strout, di cui ho letto Resta con me che non mi aveva convinto del tutto, padroneggia con grande perizia questo modello narrativo e costruisce un “pararomanzo” formato da una serie di racconti autonomi, che hanno come elemento comune proprio il personaggio eponimo. In alcuni Olive Kitteridge, colta in momenti diversi della sua vita, è protagonista, in altri personaggio di contorno, in altri ancora semplice pretesto (è un’insegnante di matematica in pensione, e molti personaggi sono stati suoi allievi). Altro elemento unificante è la cittadina di Crosby, nel Maine, in cui si svolgono quasi tutte le vicende, tranne un’incursione a New York. Ambientazione fascinosa, tra un mare solcato dalle barche dei pescatori di aragoste e un fiume sulle cui rive camminare prima dell’alba, piano bar e ristoranti con vista, dove tutti si conoscono o almeno si salutano incontrandosi. Olive è una donna spigolosa, che incute paura agli allievi e concede poco alle smancerie, piena di difetti ma anche di sentimenti profondi e comprensione umana. Nasconde delle ferite segrete, come del resto suo marito, suo figlio e tutte le altre persone che attraversano le pagine per lo spazio di un racconto: spazio perfetto per ritrarre una vita di scorcio nel presente, in modo che si possa intravedere il suo passato e intuire il suo futuro. Molti sono i personaggi che di volta in volta si presentano alla ribalta, e per il tempo del loro assolo ci svelano con sincerità gli abissi nascosti nei loro cuori. La mia preferita, per quel che può interessare, è Angie la pianista che cerca di annegare nell’irish coffee lo spreco della propria vita e del proprio talento. Elizabeth Strout scrive magnificamente, affronta i temi difficili dei rapporti interpersonali, familiari, della morte e dell’invecchiamento, della solitudine, dell’amore, del tradimento e della vigliaccheria, in molti punti mi sono commossa (sì, pure una pellaccia come me, nemica delle emozioni, ha i suoi momenti di debolezza) ma né indulge in psicologismi, assolutamente assenti per fortuna, né si compiace in descrizioni crepuscolari o depresse. La sua prosa è energica come Olive, e altrettanto coraggiosa. Olive Kitteridge è uno di quei libri che ti fanno pregustare il momento in cui potrai finalmente aprirlo, e ti fa detestare quello in cui lo chiudi definitivamente.   

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