Ho letto Gibuti di Elmore Leonard su consiglio di Stephen King.
Sì perché nel suo On writing dice che Leonard è il miglior scrittore di dialoghi che ci sia. E dato che a me i dialoghi piacciono, ritengo che sia difficile scriverne di buoni e sono d’accordo con tutti quelli che sostengono che in un buon romanzo sono indispensabili, ho letto per la prima volta Elmore Leonard.
Dico subito che ho sbagliato, non dico autore, ma perlomeno libro.
Ho scelto Giubuti, il suo penultimo romanzo, perché parla dei pirati che sequestrano le navi nel golfo di Aden e poi chiedono un riscatto milionario per rilasciarle. Insomma volevo prendere due piccioni con una fava: conoscere Leonard e scoprire qualcosa su questa pirateria contemporanea.
Il libro però non contiene dialoghi, ma “è dialoghi”. Probabilmente dipende anche dalla traduzione, ma spesso non si capisce chi parla, a chi si rivolge e nemmeno che cosa dice. Né il contesto aiuta a chiarire, visto che in un esagerato sfozo di concisione sono scomparse descrizioni e spiagazioni e sono rimasti tanti dialoghi che galleggiano nel nulla.
I protagonisti sono: “una pertica di negro assieme a una gnocca bianca. Nel bel mezzo dell’oceano”. Lei è una giornalista poco più che ventenne, famosa per i suoi documentari sulle donne violentate in Bosnia, i membri del Ku Klux Klan e su New Orleans dopo l’uragano Katrina (per quest’ultimo ha persino vinto l’Oscar!). Lui ha 72 anni ed è il suo operatore, ma anche un ottimo marinaio, la sua guardia del corpo e, dopo aver preso l’Erba di Capra in Calore (lo giuro), anche il suo amante.
Dunque Dara Barr vuole occuparsi dei pirati somali, considerati dalla popolazione locale come eroi. Perciò lei e Xavier arrivano a Giubuti, s’imbarcano e incontrano Idris Mohammed, capo di una banda di pirati; Billy un petroliere texano miliardario; Helene, la sua amante top model; Harry il mediatore saudita, ovvero Ari Sheikh Bakar; e un paio di terroristi di al Quaeda, nascosti in mezzo ai pirati somali, che vogliono far saltare tutto. Sembrerebbe che ci siano tutti gli ingredienti per un ottimo giallo ma in realtà Gibuti è di una noia mortale, visto che per gran parte del tempo non succede niente. Questa gente s’incontra e chiacchiera, Dara e Xavier filmano e poi commentano davanti a un monitor le immagini che hanno filmato. Più che vedere direttamente cosa succede, noi sentimo i due che ne parlano riguardando il girato: non capisco il perché di questo espediente che rallenta ulteriormente l’azione. Nessuno sviluppo sorprendente, si fanno un sacco di chiacchiere mentre la narrazione si trascina lenta e pigra, anzi ubriaca. Tutti non fanno che bere – preferibilmente champagne – e masticare khat, la droga anfetaminica, diffusa da quelle parti.
Ma darò un’altra chance a questo maestro del crime novel dalla produzione sconfinata, tra i più rappresentati da cinema (Quel treno per Yuma, Out of Sight, Killshot, Jackie Brown) e tv (vedi la serie Justified).