Toglietevi subito dalla testa che qui si voglia parlare di bionde d'oltreoceano su harley davidson 1200. Sarebbe di certo una bella cosa, e incontrerebbe non poco. Ma non si parlerà di questo.
La canadese è una pipa e il piacere di fumarla in moto tocca livelli puri e imprevisti.
La canadese è una pipa che scalda un poco, se riempita di tabacco che brucia bene e se hai l'abitudine di gustartelo con tirate continue. Così che, inforcando la moto, il vento ti aiuta a tenere sotto controllo il calore del fornello, senza mai permettere che il saporito tiraggio continuo ti ustioni la mano o, peggio, ti bruci la radica del fornello.
Oggi ero sullo scooter di mia moglie e correvo tra il verde, fumando con gusto.
Mi bastava allora sporgermi un poco dal parabrezza, come a guardare a destra o a sinistra, per esporre il fornello alla brezza, e sembravo un motociclista curioso, in scooter, che indagava tra gli alberi, magari per intravvedere un falco, o una lepre. Di certo nessuno avrebbe potuto immaginare la ragione di quel gesto estetico, così ovvio ed elegante (a me piace compiere atti molto comuni per le ragioni più private e incomunicabili - sempre in cerca di un senso per le cose più insensate, ahimè).
La pipa che mi faceva dondolare, destra-sinistra, in un ritmo lento, era caricata con un tabacco pressato molto elaborato, con base Italia-Forte al quale avevo aggiunto un toscanello, tagliato a rondelle, e due pizzichi molto esigui di Kentuky bird e Da Vinci. Il tutto, trovandomi nella possibilità casualissima, era stato spruzzato di Sciachetrà, il vino passito delle Cinque Terre1). Insomma, un tabacco prezioso e profumato.
L'avevo prodotto e confezionato in fogliette sottili sottili che, per caricare la mia canadese, arrotolavo tra i polpastrelli a misura del fornello. Un solo fiammifero, a volte due, ed ero pronto per la lunga passeggiata in scooter. Una caricata di questo genere, vuoi per la particolare disposizione arrotolata delle fibre, vuoi forse per l'aiuto che il vento dava alla combustione medesima, non si spegne mai, e il tabacco si trasforma in cenere candida e tenace, che il vento non riesce a far volare negli occhi del conducente fumatore di pipa.
Una siffatta passeggiata in scooter ricostruisce l'armonia perduta col tutto.
In questo luglio non ancora bollente il bosco ai lati della strada è verde e umido e, come il corso dei torrenti e del fiume, non ha ancora combattuto col calore prosciugante dell'estate ligure. Anche l'asfalto sembra lucido e pulito. In un abbraccio così accogliente c'ero già stato e per lungo tempo, ma ormai non mi capitava più da tempo, prima di questo viaggio con la pipetta canadese tra le labbra.
Ma la prova definitiva delle virtù della canadesina allo sciachetrà - motorizzata - è stata la mia mancanza quasi assoluta di reazioni alla strombazzata che, sul più bello, mi ha fatto quasi uscire di strada. Un fuoristrada mi superò ad un tratto: passandomi accanto l'autista prese a dimenarsi tutto, facendo col braccio destro un evidente segnale ad indicare "cammina più a destra, te che con quello scooterino mi blocchi la strada e impedisci la mia corsa celere e spedita verso a te ignota ma di certo a me destinata destinazione".
Non aveva ancora finito di mimare un concetto così complesso ed elegante con i poveri strumenti che aveva a disposizione che si trovò a svoltare a destra, lui stesso, dieci metri dopo, tagliandomi la strada. La sua destinazione era molto vicina, in effetti.
Un sorpasso incazzato per svoltare a destra tagliando la strada, ai tempi delle sigarette mi avrebbe portato a bestemmiare (se in scooter), metter mano alla mazza da ingorgo (che tenevo sotto il sedile, se in auto).
Nei giorni della pipa si è subito dissolto in uno sbuffo azzurro (ma soffiatogli contro, come uno sputacchio colorato, lo confesso).
Questo elogio è del tutto privo di un centro narrativo, essendo poverissimo poeticamente l'episodio del conducente epilettico, e non avendo, questo, funzioni strutturali o allegoriche.
Il tutto non permette, dunque, arguzie ermeneutiche all'eventuale lettore. E anche lo stile, che corre in soccorso sovente a chi nulla ha da dire, è qui piatto e quotidiano.
Ma ora che fumo la pipa me ne sbuffo.
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1) Chiamare lo Sciachetrà vino passito rischia di costarmi anni in Purgatorio. Nel girone dei propalatori fraudolenti di mendacia. Lo Sciacchetrà è un vino ottenuto dall'appassimento dell'uva più zuccherina delle Cinque Terre, l'uva bosco, l'albarola e il vermentino, fatta appassire su reti e graticci e spremuta acino per acino dalle dita sottili delle donne di quei luoghi. Lo sciachetrà, invecchiato in botticelle di legno pregiato, imbottigliato e riposto per anni e anni nelle cantine salmastre in riva al mare, viene bevuto come goccia concentrata di meraviglia. Oggi non credo ce ne siano più molte di bottiglie effettivamente riempite dai polpastrelli delle donne di Riomaggiore o Vernazza, ma tant'è.