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Elogio del Salone del Gusto...and much more!

Creato il 28 ottobre 2010 da Polistyles Hot&cool
Se anche il Salone del Gusto, chiusosi da poco a Torino, fosse solo una ben architettata copertura per nascondere un gigantesco traffico d'armi, il suo ideatore, Carlin Petrini, meriterebbe ugualmente il premio Nobel per la Pace. Sì, perchè di fronte a certe delizie intraviste ed assaggiate nei vari stand anche l'animo più pugnace dovrebbe cedere ad un momento di commozione.Senza addentrarsi in particolari golosi (come scegliere tra il prosciutto bazzone della toscana e il pecorino di fossa?) dovrebbe fare riflettere la ricchezza gastronomica del nostro paese, che poi non è altro se non lo specchio delle mille anime d'Italia, nazione ben più vasta culturalmente di quando dicano le sue dimensioni geografiche. Possediamo i due terzi del patrimonio artistico mondiale e una quota non facilmente rilevabile ma certamente importante di quello gastronomico. Se a questo aggiungiamo una rinnovata coscienza ambientale e una capacità di mantenere vive le proprie radici culturali superiori a quella di altri paesi (sono parole della leader verde Vandana Shiva) il quadro è completo: nonostante la nostra incredibile capacità nell'autodenigrazione restiamo il paese del bello, appetibile e appetitoso. Il nostro recente viaggio negli States ce lo ha confermato: la reazione più frequente quando ci si dichiara italiani è un "wow" ammirato.Tornando al Salone, tra una sgomitata e l'altra per raggiungere uno stand (un ampliamento di Lingotto Fiere non è più rinviabile se si vogliono mantenere a Torino i grandi eventi) risuonano agrodolci le parole che provengono dai vari incontri: parlano di un mondo malato, diretto verso un futuro incerto ma con qualche segnale concreto di speranza, come i tanti giovani che tornano a lavorare la terra o l'interesse crescente verso la preservazione della biodiversità, che significa, tra le altre cose, il rifiuto di appiattirsi a tavola su sapori "standard", omogenei in ogni angolo del globo.Per la verità noi di POLIStyles siamo contrari alle crociate, comprese quelle contro multinazionali e fast food in quanto tali. Non c'è nulla di male nel bere una Coca-Cola in Marocco se questo non ti impedisce di pasteggiare a tajine e thè à la menthe; ci sono situazioni in cui la riproducibilità di sapori noti a prescindere dalla latitudine può anche essere confortante, ma nutrirsi esclusivamente da McDonalds denota la stessa chiusura mentale di chi pretende di mangiare italiano in qualunque paese si trovi.Che fare allora? Allenarsi a scegliere senza preconcetti ma con senso di responsabilità: è vero che oggi mangiare slow costa, allo stesso modo di un capo o una calzatura fatta a mano, ma l'estinzione dei sapori, così come quella delle specie animali o vegetali e la scomparsa delle tradizioni è un prezzo ancora più alto da pagare.

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