Non delude nemmeno questo breve saggio sull’amicizia, che ho trovato esposto in bacheca in biblioteca e ho preso a prestito.
Non è un buon segno quando si parla troppo di amicizia, esordisce Crepet, perché “si dovrebbe esibirla di meno, perché è il sentimento più prezioso“.
E come in un piccolo dizionarietto, Crepet passa in rassegna i volti e le situazioni nelle quali l’amicizia (o la pseudo-amicizia) fa capolino, quale sentimento ancora più importante dell’amore, “in quanto quest’ultimo nasce dal primo e non viceversa”.
“L’amicizia genera amore, mentre l’amore non sempre e non necessariamente produce amicizia. L’amicizia nasce dale occasioni della vita, spesso dal destino, ma per diventare sentimento irrinunciabile necessita poi di grandi emozioni condivise, non di mediocrità affettiva“.
Da incorniciare sarebbero i capitoli dedicati all’“amicizia tra genitori e figli” e quello “ai maestri non si dà del tu”.
Invece di realizzare forme autorevoli dell’educare, ci si è fermati a una mediocre tiplogia di “buonismo”, ovvero la rinuncia non solo all’autorevolezza, ma anche al semplice buonsenso. Un rapporto amichevole implica una tendenziale pariteticità fra gli interlocutori, ovvero ciò che ogni buona disciplina dell’autorevolezza dovrebbe combattere. Una buona comunicazione si basa sulla chiarezza e non sulla confusione dei ruoli. Tra genitori e figli si può essere complici senza dover essere necessariamente amici. Molti genitori hanno pensato che per migliorare la qualità della comunicazione con i figli dovessero abbassarsi al loro livello, realizzando una falsa pariteticità nella divisione delle responsabilità e dei poteri domestici, generando genitori incapaci di imporre regole e bambini cresciuti con l’aberrante abitudine di un comando che non dovrebbero possedere.
“Se un padre o una madre diventano i migliori amici dei figli – scrive Crepet – ottengono un risultato immediato: non devono faticare, tutto diventa più semplice in quanto viene meno la necessità di difendere e di inventarsi ogni giorno i propri meriti educativi. L’educazione non deve assomigliare a un compito burocratico. Il buonismo amicale implica invece la rinuncia a ogni forma di ricerca creativa.”
“Uno dei tanti modi per misurare il costante declino dell’autorevolezza della nostra cultura – continua Crepet – consiste nell’osservare il rapporto che si stabilisce, in molti casi, tra alunni e professori: insegnanti che si fanno chiamare per nome, docenti ai quali un ragazzino può dare del tu, professori che si mettono alla pari dei discepoli. L’autorevolezza dell’educatore si fonda sulla giusta distanza, non certo sulla prossimità con lo studente. L’amicalità applicata all’insegnamento genera un effetto rilassante negli insegnanti, in quanto li fa sentire magicamente irresponsabili: l’autorevolezza è faticosa e va ribadita di continuo, mentre questa decadente pariteticità non richiede alcuno sforzo.“
Ricorda Crepet un suo professore all’università, con il quale “non ci siamo mai dati del tu, nemmeno anni dopo. Lui rimaneva per me il professore, la guida, e io avevo bisogno che lui rimanesse il mio maestro: gli amici avevano altri nomi, opinioni più o meno condivisibili, e non li dovevo temere. Il suo giudizio invece sì, perché sapevo che non mi avrebbe mai condonato nulla: era semplicemente e terribilmente sincero. perché il medico pietoso manda l’arto in cancrena.”
Potrei proseguire con tante altre citazioni. Sulle differenze tra amore e amicizia (l’amore può perdonare la “scappatella”, l’amicizia no: se viene tradita è per sempre. L’amicizia non è accomodante, è un sentimento più dogmatico dell’amore); sulle differenze delle amicizie tra donne e tra uomini e via dicendo, ma mi fermo qui.
Ho sempre pensato che una persona nella vita possa avere soltanto pochi veri amici. Forse anche uno solo, ma quello basta per “sentirsi a posto”.
Sono svariate le strade seguite dall’amicizia. C’è l’amico del cuore, quello con il quale forse ci si sente anche una volta all’anno ma ogni volta sembra che ci si sia lasciati soltanto il giorno prima. E c’è il falso amico, quello che punta a qualcos’altro e che quando capisce di non poterlo ottenere, s’inabissa.
E poi ci sono i cavalieri, sempre pronti a fornirti uno spadone al quale appoggiarti e uno scudo dietro il quale ripararti dalle traversie della vita (e anche un buon pranzo in un’invitante osteria…)
E c’è pure quello che ti dice “stai sereno” e poi invece… zacchete! Te se pija la campanella…