Io amo le grandi città. La campagna ha i suoi colori, caldi e speciali. Ha i suoi suoni: il canto dei pettirossi, le cicale che friniscono quando scende la sera, il vento, che senti ululare quanto tira forte. E la città, è vero, ha i suoi clacson, il rombo dei motori, il grigio di un palazzo macchiato dallo smog. Eppure, non riuscirei a decidermi per una vita in campagna. Oggi ho letto un articolo su Velvet, sul numero di febbraio, appena comprato. Era il racconto di un giornalista inglese che ha abbandonato la città, per la pace della campagna. In quelle parole di elogio della vita nel piccolo paese contadino, ho trovato grande freddezza; sembrava proprio la scelta snob e tanto vuota, di una persona che, “arrivata“, decide di ritrarsi nobilmente. Nel paesino, lui dice, conosco tutti. E’ vero che la città troppe volte ti fa sentire solo, è vero che persino il pettegolezzo di un vicino di casa può farti compagnia. E sì, quel signore conosce tutti. In città non puoi conoscere tutti, ma puoi conoscere chiunque. La città ha un’anima calda, non è solo indifferenza e solitudine. Le sue luci, i bei tetti, e le macchine. Quante macchine! Quale traffico! Quanta gente che aspetta nervosamente in coda al semaforo! Ma non è forse vita, e attività, movimento, quel traffico? Non vi dà un po’ di calore rientrare a casa dopo una giornata passata fuori e, affacciandosi alla finestra, vedere che c’è ancora tanta vita sulle strade, che i lampioni si sono appena accesi? Non dà forse piacere chiedersi chi ci sia dentro una macchina che sfreccia, chi si nasconda dietro il vipglass di un’auto elegante? Non è bello poter scendere sotto casa alle due del mattino perché si ha voglia di una porzione di patatine fritte?
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