Se voi avete avuto modo di scorrere i pochi articoli presenti in questo blog appena iniziato, vi sarete accorti di come varia l’impostazione del linguaggio poetico raffrontato al linguaggio filosofico.
Mentre il linguaggio poetico è particolarmente emotivo e carico di simbolismi, metafore e figure retoriche… il linguaggio filosofico è per sua essenza e necessità un incedere logico, argomentativo e a volte persino tecnico.
Mentre il linguaggio poetico dice e non dice, osa ma non si svela fino in fondo, ha esigenze di metrica e di rima… il linguaggio filosofico è per sua essenza e necessità un incedere discorsivo che ignora ogni regola imposta dallo stile perchè la sua unica regola è quella di raccontare la verità, la propria verità così come è appartenente al filosofo che la sta elaborando e così come il filosofo stesso cerca a suo modo di trasmetterla.
Mentre il linguaggio poetico è svincolato dalle leggi del pudore e della riservatezza, dovendo in un certo senso mettere in piazza i sentimenti più intimi e non diversamente confessabili… il linguaggio filosofico è e rimane vincolato alle leggi della decenza e della compostezza razionale, per quanto lo spirito dello scrittore emerge estremamente diversificato a seconda dell’autore, del tema e del contesto.
Nonostante queste evidenti diversità, i due linguaggi non hanno solo punti di diversificazione, hanno anche punti di contatto e di somiglianza; sono talmente coerenti l’uno all’altro da potere andare a braccio, sono talmente complementari l’uno dell’altro da non potere essere nè sostituiti nè scelti l’uno a migliore rappresentanza dell’altro.
Si sta dicendo che la filosofia sposa perfettamente la poesia e viceversa, così come la filosofia potrebbe aprirsi ad altre forme di espressione dialettica e dialogica assimilabile all’uso della parola; sto pensando al teatro, sto pensando al cinema, sto pensando alla stessa fotografia che riproduce la realtà con le immagini di ciò che vediamo ed infine sto pensando all’arte che riproduce la realtà con le immagini di ciò che percepiamo.
E per questa banale situazione fatta di sodalizi e di convergenze che parole, immagini e suoni si rincorrono senza mai esaurirsi e potersi esaurire.
La musica, altro elemento non ignorabile in questo discorso, non è che la parola mancante o meglio la parola messa in nota.
La danza che sposa la sua musica non è che il corpo stesso che diventa parola danzante, parola che si agita, si mette in punta di scarpa, trae dalla potenza e dalla disciplina dei propri muscoli la forza di lanciarsi nello spazio e di raggiungere attraverso lo sguardo dei suoi spettatori sempre lei, sempre la sola protagonista indiscussa, ossia la parola che la rappresenta.
Senza la possibilità di parlare e di parlarci saremmo come dei corpi senz’anima, vasi vuoti destinati al macero; ecco perchè è così importante usare bene le parole e dare alle parole il loro giusto peso.
Spero che anche voi siate d’accordo con me…