Donna dal carattere estroverso, creatrice del celebre rosa shocking, amante del buonumore e della cultura, con l’arte e l’eleganza nel sangue. Questo fu Elsa Schiaparelli (1890-1973), una vera artista della moda capace di tenere testa al genio di Coco Chanel e reinterpretare il concetto di arte attraverso gli abiti e grazie a una dirompente, formidabile creatività. Il background aristocratico fu, per lei, un vantaggio negli ambienti dell’alta società parigina, dove venne accettata senza riserve, al contrario di Coco Chanel, spesso additata a causa delle sue origini umili. Ciò le consentì di farsi conoscere e ammirare fin da subito, senza alcun ostacolo, come stilista capace di creare e imporre una visione ben definita e personalissima della moda. L’estro della Schiaparelli, però, fu il risultato di diversi fattori, non solo legati all’indole. La sua famiglia, di origini piemontesi, era composta da esimi studiosi, uomini dotati di eccezionale cultura e senso estetico, valori che vennero trasmessi alla giovanissima Elsa, che ne fece tesoro e seppe, anni dopo, fonderli tra le stoffe, i ricami e i bozzetti dei suoi vestiti. Celestino Schiaparelli (1841-1919), suo padre, fu un grande arabista (il suo maestro fu il celebre Michele Amari) e direttore dell’Accademia dei Lincei, incarico affidatogli dal re Vittorio Emanuele II. Nel 1903 ottenne la cattedra di Lingua e Letteratura Araba all’Università La Sapienza di Roma; Giovanni Schiaparelli (1835-1910), fratello di Celestino, fu membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia delle Scienze di Torino e senatore del Regno d’Italia. Eccellente astronomo e storico della scienza, si dedicò anche allo studio del pianeta Marte (da qui nacque la teoria dei “canali di Marte” e tutte le speculazioni e i fraintendimenti successivi su di essa); il famosissimo archeologo ed egittologo Ernesto Schiaparelli (1856-1928), cugino di Elsa, fu senatore del Regno d’Italia, professore di Storia Antica ed Egittologia all’Università di Torino e direttore del Museo Egizio di Torino dal 1894 fino alla morte. Nel 1903 inaugurò la missione archeologica italiana in Egitto, alla quale si deve la scoperta della meravigliosa tomba di Nefertari. Infine lo zio Luigi Schiaparelli (1871-1934), paleografo e storico, diede vita alla Fondazione Schiaparelli. Elsa nacque il 10 settembre a Roma, a Palazzo Corsini, la residenza che spettava di diritto alla carica più alta dell’Accademia dei Lincei. Sua madre, Maria Luisa, apparteneva a una famiglia aristocratica di alto lignaggio e la futura stilista crebbe coltivando il sogno di diventare un’attrice o una poetessa. La famiglia non appoggiò mai il primo desiderio, giudicato inopportuno per una ragazza di alto lignaggio. Quanto al secondo, non andò meglio: Elsa riuscì a far pubblicare una raccolta di componimenti dal titolo “Arethusa”, ma provocò di nuovo lo sdegno dei suoi genitori, i quali considerarono i versi talmente audaci da decidere di spedirla in un convento in Svizzera. Solo uno sciopero della fame mise termine alla permanenza della ragazza nel collegio elvetico. Nel 1913 quando la giovane si trasferì a Londra dove, durante una conferenza, conobbe il
conte Wilhelm de Wendt de Kerlor. La coppia si sposò nel 1914 e decise di vivere prima a Nizza poi, nel 1919, di spostarsi a New York, città nella quale nacque, l’anno successivo, la figlia Yvonne, detta affettuosamente Gogo.
Durante la traversata Elsa fece un incontro destinato a imprimere una svolta alla sua vita; divenne amica di Gabrielle Picabia, moglie del pittore e scrittore Francis Picabia (1879-1953. Fu proprio Gabrielle a permetterle di entrare in contatto con la corrente dadaista di New York, rappresentata da personaggi di spicco come lo scultore e pittore francese Marcel Duchamp (1887-1968), naturalizzato statunitense, il fotografo, regista e pittore Man Ray (1890-1976, nome d’arte di Emmanuel Rudzitsky) e Alfred Stieglitz (1864-1946), fotografo e gallerista. Nonostante i problemi economici, la costante assenza del marito, la figlia ammalata di poliomielite e il matrimonio non proprio solido, Elsa trovò in questi artisti una fonte d’ispirazione e con loro condivise momenti spensierati che l’avrebbero accompagnata per sempre, plasmando la sua “arte di moda” in maniera eccentrica, originale, rivoluzionaria. Le difficoltà finanziarie a cui abbiamo accennato la spinsero a cercare un lavoro; il destino, o forse la perseveranza, o tutti e due, fecero in modo che lo trovasse nell’atelier della sorella di Paul Poiret, Nicole Groult (nome d’arte di Marie Nicole Poiret, 1887-1967. Nicole fu una formidabile promotrice dello stile “garçonne”, fatto di abiti eleganti ma funzionali, con una venatura androgina, che esprimevano il concetto di emancipazione femminile e aspirazione all’uguaglianza tra i sessi). Nel 1922, però, il matrimonio di Elsa arrivò al capolinea; questo triste epilogo rappresentò, paradossalmente, il primo, vero passo della futura stilista nel mondo della moda. Londra e New York rappresentavano il passato. Parigi l’avvenire, oltre che la capitale dell’eleganza. Proprio in questa città la Schiaparelli scelse di vivere insieme alla figlia, ospitata da Gabrielle Picabia e conobbe il celeberrimo stilista Paul Poiret. Il 1927 fu l’anno del trionfo: Elsa Schiaparelli aprì un atelier tutto suo in rue de la Paix 4 e lo chiamò “Pour le Sport”. Iniziò a disegnare abiti riversando tutta la fantasia e la conoscenza che aveva dell’arte, dal surrealismo al cubismo, nei bozzetti dal tratto netto e raffinato. Nel 1933, all’apice della popolarità, la Maison Schiaparelli poteva contare su una succursale a Londra, mentre la sua stravagante fondatrice avviava un altro atelier a Parigi, dedicato esclusivamente ai profumi da lei creati. Solo nel ‘34 ne vennero commercializzati tre, tutti destinati a entrare nella Storia della moda e della cosmesi: Schiap, Salut e Souci (il primo, S, risale al 1928) e la stilista ottenne la copertina del Time (ricordiamo, comunque, che già Vogue aveva contribuito alla sua popolarità, osannandone lo stile particolarissimo di cui si accorgerà, nel 1949, perfino Newsweek dedicandole la cover intitolata “The Shocker”). L’anno successivo la sede centrale della Maison venne spostata a Place Vendome 21, in un palazzo di cinque piani, suddiviso in novantotto stanze nelle quali lavoravano ben settecento persone. Questo rappresentò la consacrazione della moda di Elsa Schiaparelli a Parigi e nel mondo. La creatività dell’artista italiana non aveva limiti: dal tailleur con le tasche a forma di bocca, agli abiti con le aragoste dipinte sopra, fino ai pullover “a raggi X”, così chiamati perché tratteggiavano la forma delle ossa umane. Moda stravagante, sopra le righe, surrealista, in grado di rompere gli schemi e, per questo, meravigliosa e inimitabile. Coco Chanel temeva Elsa Schiaparelli, l’italiana che collaborava con i più grandi nomi dell’arte, da Jean Cocteu a Salvador Dalì. Entrambe le stiliste, comunque, capirono che il destino della moda non stava solo nella creazione esclusiva e su misura di abiti per le gran dame e nemmeno, bensì nel prêt-à-porter, ovvero la realizzazione di capi ordinati per taglie standard. Elsa ebbe anche un altro merito: stravolse il concetto di sfilata rendendola, per la prima volta, uno show, uno spettacolo a tema, abitudine molto in voga anche oggi. Nel 1938, per esempio, presentò al pubblico la collezione “Cirque”, caratterizzata da vestiti impreziositi con stampe di clown, borse a forma di palloncini e cappelli che sembravano coni gelato, come racconta la stessa Schiaparelli nella sua autobiografia “Shocking Life. Autobiografia di una artista della moda” (Alet, Padova 2008). Tra le sue clienti figuravano donne di spettacolo eccezionali come Katharine Hepburn, Greta Garbo, Wallis Simpson, Juliette Greco, Marlene Dietrich, Lauren Bacall, Gala Dalì, Mae West, Ginger Rogers e Vivien Leigh. L’originalità dell’aristocratica stilista, inoltre, conquistava sempre più consensi e popolarità a ogni nuova sfilata e le signore che acquistavano i suoi abiti non erano minimamente “turbate” dal fascino insolito delle creazioni, al contrario. Il 1938 segnò anche la nascita di una delle sue fragranze più famose, Shocking, contenuta in una raffinatissima boccetta, disegnata da Leonor Fini (1907-1996), che ricordava le forme di Mae West (1893-1980. Si racconta che anche la prima bottiglietta di Coca-Cola fosse ispirata alle curve dell’attrice americana). La Seconda Guerra Mondiale spinse Elsa Schiaparelli a trasferirsi negli Stati Uniti. Rivide
Parigi solo alla fine del conflitto, ma la sua fama era rimasta intatta. Il periodo del dopoguerra, infatti, la vide di nuovo immersa nella creazione di nuove collezioni e profumi. Tra questi ultimi dobbiamo menzionare Le Roy Soleil (1946), la cui preziosa boccetta venne creata dal genio di Salvador Dalì.
Non tutti ricordano, poi, che fu proprio Elsa a disegnare i costumi del film Moulin Rouge (1953), diretto da John Huston e interpretato da Zsa Zsa Gabor. L’italiana dall’inesauribile creatività gestì l’atelier fino al 1954, anno di pubblicazione della sua autobiografia. Morì nella capitale francese il 13 novembre del 1973. Il marchio da lei fondato passò nelle mani della famiglia Sassoli de’ Bianchi e, nel 2006, in quelle di Diego Della Valle. La sua fama ha attraversato gli anni e forgiato generazioni di stilisti (ricordiamo che, con lei, lavorarono anche Pierre Cardin e Hubert de Givenchy). Ancora oggi, la sua Maison è un punto di riferimento fondamentale per le star del mondo dello spettacolo: Celine Dion, per esempio, ha scelto proprio un abito della Maison Schiaparelli per inaugurare il suo ritorno sulle scene al Colosseum del Caesars Palace di Las Vegas, una tournée che durerà fino a gennaio 2016. L’abito è stato confezionato appositamente per la famosa cantante e realizzato in seta georgette con paillettes e cristalli a impreziosirlo. Una prove ulteriore, questa, dell’eredità lasciata dalla Schiaparelli, una tradizione di estro e audacia che è arrivata fino ai nostri giorni. Come abbiamo già accennato, Elsa è sempre stata considerata “l’anti-Chanel”; due stili in apparenza inconciliabili, uno lineare, “ordinato”, l’altro opulento, “caotico”, ma entrambi simboli di eleganza e buon gusto. Ci troviamo di fronte a un’opposizione ben netta, a due modi diversi di vedere la moda e la donna, ma uno non esclude l’altro, o meglio, il paragone tra Coco ed Elsa dovrebbe tenere conto di questo, come del fatto che, tra le due, non esiste “la migliore”, né una può essere il metro di giudizio dell’altra. La loro creatività, infatti, è stata talmente intensa, esuberante, personale, forte, da non consentire dei “duelli” teorici e stilistici che possano stabilire una vincitrice. Per questo motivo, nonostante l’innegabile rivalità, è inutile giudicare Elsa come “anti-Chanel”, in quanto ciò significherebbe avere una visione della moda di quel periodo che pone Coco come “asse portante”. Forse tale discorso può essere valido da un punto di vista cronologico ed è legato, oltre che al mito di Chanel, alla Francia che, in quegli anni, dettava legge in fatto di moda, ma la sua “essenza” è più discutibile. La diversità tra Chanel e Schiaparelli è evidente e difficilmente etichettabile, poiché libera espressione artistica ed esistenziale. Non solo: la scelta di una Maison piuttosto che dell’altra da parte del pubblico è tutta personale, dettata da gusti e personalità, ma non per questo assoluta, anzi! Entrambe, comunque, ebbero, tra i tanti meriti, quello di ridisegnare l’immagine della donna e, nello stesso tempo, riscriverne il destino che sembrava già stabilito. Furono delle rivoluzionarie della moda e della vita, anime indomite che, prima di tutto, obbedivano a se stesse e condivisero, con successo, le loro esperienze di vita tradotte in abiti con le altre ragazze e donne come loro. Elsa, nella sua autobiografia, diede dei veri e propri “comandamenti” ancora attualissimi a signore e signorine di tutto il mondo. Tra questi ve ne son alcuni molto interessanti: le donne, infatti, tendono ad ascoltare troppo il parere di chi le circonda; dovrebbero, invece, affidarsi con giudizio solo agli esperti di moda, ascoltare i loro consigli ma, nello stesso tempo, saperli valutare in maniera critica e non accettare passivamente ogni parola. Forse sembrerà strano, addirittura paradossale, ma non è così: secondo la stilista le donne devono imparare a conoscersi. Questa è la vera chiave per raggiungere l’autostima. Serve esperienza di vita per raggiungerla e, dunque, riuscire a discernere l’essenziale dal superfluo, l’opinione costruttiva da quella inutile o perfino dannosa. Ciò significa anche costruire la propria personalità senza seguire in modo frenetico le mode, ma apprendendo la sottile arte della scelta per sé, la coerenza tra la propria anima, la propria volontà e l’eleganza. Tutto questo porta a creare uno stile frutto del connubio tra moda e carattere personale. Nulla di bizzarro o contraddittorio. Un vestito non è solo stoffa ma, in un certo senso, è una sorta di involucro prezioso per il corpo e l’anima che lo indosseranno e, per questo, la selezione non può nascere dal timore del giudizio, dalla mancanza di idee e nemmeno dall’incoerenza. Gli abiti e gli accessori raccontano molto di noi ed Elsa Schiaparelli, come Coco Chanel, lo aveva capito. Il genio italiano, l’estro, la forza e la determinazione uniti in una sola donna che creò un impero ancora oggi ben saldo. Elsa Schiaparelli è l’esempio, soprattutto nei nostri tempi incerti, di quanto la volontà e la personalità possano forgiare il nostro destino, soprattutto quando questo sembra avverso, trasformando in colori, arte, novità e fantasia tutto ciò che appare grigio e rigidamente codificato. Bibliografia e sitografia Elsa Schiaparelli, “Shocking Life. Autobiografia di una artista della moda”, Alet, Padova 2008;Sofia Gnoli, “Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi”, Carocci, 2012; Harold Koda, Andrew Bolton, “Schiaparelli & Prada. Impossible Conversations”, Metropolitan Museum of Art, New York, 2012; Ilya Perkins, “Poiret, Dior and Schiaparelli: Fashion, Femininity and Modernity”, Bloomsbury Academic, 2012; Il sito della Maison Schiaparelli: http://www.schiaparelli.com/en