Floriana Manciagli 6 settembre 2013
Matt Damon sul grande schermo è una certezza, di solito. Ma non è questo il caso. Elysium, film del visionario Neill Blomkamp, già conosciuto per il fantascientifico District 9, delude sia i fan del regista sia quelli dell’attore, rispettando forse le attese degli amanti del genere o almeno di coloro che cercavano soltanto un po’ di intrattenimento a buon mercato. La trama è semplice, quasi banale. Sicuramente abusata nel suo riproporre situazioni viste troppe volte negli ultimi lungometraggi di fantascienza post 11 settembre, che cercano di dare un senso ai magnifici e spettacolari effetti speciali, puntando sempre ad una denuncia sociale e a porre l’attenzione sul tema del diverso. Futuro. La Terra è in decadenza. Gli uomini vivono sommersi dall’inquinamento, in vastissime favelas, dove la violenza e la povertà sono all’ordine del giorno. I ricchi invece vivono su Elysium, una stazione orbitante dove si crogiolano con tutti i piaceri della vita e hanno accesso a ogni genere di cura medica, cosa di cui gli abitanti della Terra sono privati. Max (Matt Damon), ex delinquente con un passato da ladro di macchine, lavora in una fabbrica di robot e a causa di un incidente rimane pesantemente contaminato dalle radiazioni. L’unico modo di salvarsi sarebbe accedere alle cure disponibili su Elysium. Cercherà di arrivare lì, in compagnia del suo primo amore e di un trafficante di persone, che gli deve un favore.
Elysium, l’ennesimo film d’azione fatto per un puro piacere di esaltare e di esaltarsi con la computer grafica, lascia insoddisfatto lo spettatore, che viene confuso dalle continue immagini intermittenti, costellate dalle solite astronavi volanti, dalle inflazionate armi atomiche, dalle immancabili teste che esplodono. Gli amanti di simili operazioni, ovviamente, esulteranno davanti ai missili che scoppiano e a Matt Damon trasformato in una sorta di robot, che cerca di salvare se stesso, ma alla fine anche la Terra, impegnato in improbabili peripezie, che lo portano lontano da quello che è, dai suoi principi e dalle sue origini. Il motivo dell’importanza delle origini, che incontra quello delle differenze sociali ed economiche che portano alla lotta di classe e quello della clandestinità, è probabilmente l’unica cosa interessante della pellicola, che non viene resa più piacevole nemmeno dalla storia d’amore. Una storia melensa e delle più classiche, a cui neanche a dirlo viene aggiunto il dettaglio di essere un amore multirazziale, condito da vicende personali tragiche, che cercano di forzare la partecipazione emotiva del pubblico.
I personaggi vivono in stereotipi fissi, che servono a far funzionare la trama: sulla Terra sono tutti poveri ma buoni, su Elysium ricchi e cattivi. Una critica velata alla realtà americana, che risulta forzata anche nell’ambientazione: l’odierna Beverly Hills, vista e rivista anche nei peggiori reality show. Case maestose, piscine piene di ragazzi che si divertono, un’oasi felice insomma, che non deve essere intaccata dall’arrivo di clandestini provenienti dalla Terra. Nota di merito alla mirabile Jodie Foster, ambizioso ministro della difesa di Elysium, che sogna di diventarne presidente, ma che è punita per la troppa superbia, mentre macchina alle spalle dell’attuale leader della stazione orbitante. Il finale è prevedibile già dopo i primi dieci minuti di film, senza bisogno di violenza eccessiva, sangue, effettacci splatter e momenti struggenti. Un’opera che, dunque, non consiglio e che, a dispetto delle più rosee aspettative, non riesce a ripetere, pur vantando un budget da blockbuster, il buon risultato di District 9, né a trovare quell’equilibrio tra finzione e metafora del reale che tanto agognava il regista, volendo costruire una sorta di denuncia dei mali del mondo.